Unicredit mette le condizioni per prendere il Monte dei Paschi

Il Tesoro offre la quota ma Mustier chiede una dote in contanti per non bruciare capitale “La linea non cambia”
di Andrea Greco
MILANO — Superato lo scoglio di referendum ed elezioni regionali il governo prova a stringere sulla riprivatizzazione del Monte dei Paschi, che ha come scadenza ideale il primo dicembre, data entro cui la Bce chiede di ricapitalizzare per circa un miliardo la banca senese a fronte della cessione di crediti deteriorati per 8,1 miliardi ad Amco.
Il Tesoro, primo azionista con il 68,5% del Monte, sarebbe tornato giorni fa alla carica con Unicredit, come ipotetico compratore già sondato verso luglio. Tuttavia, come allora, l’ad Jean Pierre Mustier avrebbe chiesto, per sedersi al tavolo negoziale, una cornice finanziaria di «assoluta neutralità» circa l’impatto sul capitale di Unicredit. Secondo tre diverse fonti, ciò si declinerebbe in una contropartita in contanti per assorbire lo sbilancio dovuto all’acquisizione dell’attivo Mps (pari a 141 miliardi nei conti semestrali), oltre che i rischi legali della banca, che ha richieste danni per totali 10 miliardi. Nell’estate 2017 Intesa Sanpaolo ebbe 4,98 miliardi di euro dal Tesoro di allora per accettare di intestarsi buona parte delle attività (ma solo quelle “in bonis”) di Popolare di Vicenza e Veneto banca, oltre ai loro dipendenti. Unicredit ha dato ieri un no comment, ribadendo la linea per cui «non è interessata ad acquisizioni ». Il tempo per vendere la banca senese, ottemperando al contempo alle richieste di Francoforte per consentire l’ennesima pulizia di bilancio da 8 miliardi, è poco. Il Tesoro ha già preparato il Dpcm ad hoc (ancora alla firma di Palazzo Chigi), e nel “decreto Agosto” ha stanziato 1,5 miliardi per una possibile, nuova iniezione di fondi nella banca in difficoltà. Pure, questi soldi potrebbero non bastare a rendere Mps appetibile per potenziali compratori: la coperta è corta. Per un “ristoro” al 10% delle richieste danni – per le banche venete fu il 15% – ci vorrebbe un miliardo, e sull’operazione Hydra (scissione di crediti a favore di Amco) il buco da colmare è di 1,1 miliardi.
Di queste somme, in teoria, un 31,5% dovrebbe spettare agli azionisti di minoranza: ma gli investitori istituzionali non sono quasi più nel capitale del Monte, mentre i piccoli risparmiatori locali non è detto che vogliano fare la loro parte. Eppure la Bce ha chiesto che siano rispettati gli equilibri nell’azionariato, anche per non violare le regole sugli aiuti di Stato. Per questi motivi Mediobanca, consulente di Mps per conto del Tesoro, è al lavoro in questi giorni per mitigare le distanze: con Unicredit ma con qualunque altro potenziale compratore.
Il secondo nome nell’agenda è Banco Bpm: banca italiana, forte nel Nord del Paese e desiderosa di fare acquisizioni per non finire mangiata a sua volta (l’esempio di Ubi con Intesa Sanpaolo è fin troppo vivido). Finora non risulta che il Tesoro abbia contattato i vertici di Banco Bpm, ma la chiamata potrebbe essere dietro l’angolo. Qualche risvolto del concitato autunno bancario italiano potrebbe emergere nelle prossime audizioni, con cui la politica cerca di piazzare i suoi paletti. Oggi la Commissione d’inchiesta sulle banche o spiterà Guido Bastianini, ad da maggio. Si dice che la Bicamerale presieduta da Carla Ruocco (M5s) interrogherà il manager anche sull’operazione Hydra, sui vari procedimenti giudiziari e arbitrali in corso e su come la banca intenda farvi fronte, e far fronte all’esposizione agli 83 miliardi di finanziamenti che in questi mesi vedono peggiorare la loro solvibilità, come per tutto il settore. Mercoledì, poi, Bastianini sarà audito al Copasir, la Commissione parlamentare sui servizi segreti che nei mesi del lockdown aveva convocato i vertici delle maggiori aziende italiane per capire se ci fossero rischi di scalate straniere. Nella stessa giornata sfilerà davanti all’organismo presieduto da Raffaele Volpi della Lega anche, vedi il caso, l’ad del Banco Bpm, Giuseppe Castagna.
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