Mps, è ora di decidere

di Ferdinando Giugliano
Dopo la primavera del decisionismo, è arrivata l’estate dello stallo. All’ impasse sull’utilizzo del fondo europeo per la ripresa, si sta accompagnando la pericolosa titubanza sul futuro del Monte dei Paschi di Siena.
La nazionalizzazione dell’istituto toscano, avvenuta alla fine del 2016, prevedeva precisi impegni con l’Unione Europea circa il disimpegno dello Stato dall’azionariato della banca. Il ministero dell’Economia ha pronto un decreto che articola le possibili modalità dell’uscita, che dovrà avvenire entro la fine del 2021. Il provvedimento è però fermo a causa delle divergenze tra i partiti della maggioranza.
Lo stop è molto rischioso per tre motivi. Prima di tutto, il decreto consentirebbe la messa in sicurezza della banca, dando il via alla cessione di crediti deteriorati per il valore di 8,1 miliardi ad Amco, la bad bank italiana, e un conseguente rafforzamento patrimoniale. Ci sarebbe molto da dire sull’opportunità di scaricare per l’ennesima volta i costi delle perdite di Mps sui contribuenti. Ma, ora che il Mef ha concordato questo percorso di risanamento con le autorità europee, appare assurdo ritardarlo per contrasti sul futuro della banca.
Vi è poi un problema di credibilità italiana, già messa a dura prova dai successivi interventi pubblici in Mps. Il percorso individuato nel 2016 per il Monte — la cosiddetta ricapitalizzazione precauzionale — non era affatto scontato, viste le forti perdite pregresse della banca e i dubbi sulla sua effettiva natura sistemica. La disponibilità dimostrata dalle istituzioni comunitarie verso le ragioni del governo italiano, che voleva a gran forza il salvataggio pubblico, si accompagnava alla richiesta che la nazionalizzazione fosse temporanea, come previsto dalla normativa europea. L’ostracismo da parte dei 5 Stelle sulle strategie di uscita dalla banca ipotizzate dal Mef rischia di essere percepito come una volontà di mantenere la banca a lungo nelle mani dello Stato, disattendendo così agli impegni presi.
Infine, non è affatto chiaro quali siano i vantaggi di un’eventuale nazionalizzazione ad libitum della banca senese. I 5 Stelle vagheggiano di trasformare Mps in una sorta di bad bank nazionale con licenza bancaria, a cui trasferire i crediti deteriorati che si accumuleranno durante la recessione in corso. Fa impressione come un partito che si è a lungo battuto per fermare il flusso di soldi pubblici verso le banche oggi ipotizzi un’operazione che sarebbe un enorme regalo agli istituti di credito, permettendo loro di cedere le posizioni più a rischio magari a prezzi sussidiati. I 5 Stelle dicono di voler evitare che il governo vada in perdita cedendo le sue quote ad un valore inferiore rispetto a quello della nazionalizzazione. Ma trasformare Mps in una bad bank
nazionale rischia di avere costi molto maggiori per i contribuenti.
Il rafforzamento patrimoniale degli istituti di credito italiani — fortemente voluto dalla Banca centrale europea e spesso osteggiato dai politici — ha avuto l’enorme merito di permettere alle banche di reggere piuttosto bene al primo urto della crisi legata alla pandemia. Tuttavia, se la recessione dovesse continuare o addirittura aggravarsi, c’è un forte rischio che il governo si trovi presto a dover gestire nuove situazioni di difficoltà. Lasciare sanguinare il Monte e disattendere agli impegni presi con le istituzioni europee, in nome di soluzioni tanto velleitarie quanto imprudenti, è il modo peggiore di prepararsi a quell’eventuale momento. È l’ora di decidere, invece di rimandare.
L’autore è editorialista di Bloomberg Opinion
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