Un museo sul fascismo Predappio fa litigare gli storici.

 

Percorsi. Racconti, biografie, inchieste, reportage
Dibattito Il paese dove nacque ed è sepolto Mussolini vuole liberarsi dall’immagine di sacrario del Duce creando una struttura per far conoscere la realtà del regime. Ma molti ritengono che non sia il luogo adatto Marcello Flores: un’iniziativa per aiutare i giovani a capire il passato Paolo Pezzino: non serve ad arginare la crescita dell’estrema destra
Predappio, vicino a Forlì, è il paese dove nacque Benito Mussolini, il 29 luglio 1883, e dove è sepolto dal 1957, quando la salma fu restituita alla famiglia. Dal 2020 dovrebbe diventare la sede di un’esposizione permanente sulla storia del fascismo. Il progetto è pronto e parzialmente finanziato, ma molti lo avversano. Perciò abbiamo messo a confronto due storici: il coordinatore scientifico dell’iniziativa, Marcello Flores, e Paolo Pezzino, schierato tra gli oppositori. Un’occasione per riflettere sul caso specifico e in generale sul rapporto del nostro Paese con il passato, questione riproposta dalle polemiche sulla traslazione della salma di Vittorio Emanuele III.
MARCELLO FLORES – L’idea è partita dal sindaco di Predappio, Giorgio Frassineti (Pd), che da anni cercava di risolvere un doppio problema. Da una parte gli sgradevoli pellegrinaggi dei neofascisti alla tomba di Mussolini, dall’altra lo stato di abbandono del grande edificio demaniale nato come Casa del fascio e dell’ospitalità. Il sindaco ha pensato che trasformarlo in un luogo dove promuovere la conoscenza del fascismo potesse contrastare l’immagine di Predappio, sempre amministrata dalla sinistra, come santuario del culto nostalgico. Così è stata affidata all’Istituto Parri dell’Emilia-Romagna la consulenza storica ed è stato creato un comitato scientifico internazionale che ha elaborato il progetto, ancora non esecutivo, presentato nei giorni scorsi. Si prevede un’esposizione permanente (per motivi formali non si chiamerà museo) sulla storia del fascismo, affiancata da un centro di studi sui movimenti e i regimi totalitari.

PAOLO PEZZINO – Nel febbraio del 2016 ho firmato a favore del museo di Predappio. Ma poi ho cambiato opinione per diversi motivi. Innanzitutto nel frattempo è cresciuta la presenza nostalgica in quel paese: lo scorso 28 ottobre circa duemila persone si sono recate alla tomba di Mussolini per ricordare la marcia su Roma. Predappio si sta configurando come una sorta di enclave neofascista nella Repubblica italiana. E mi pare astratta l’idea di opporsi a questa deriva con un museo: è un problema di ordine pubblico che va risolto impedendo le manifestazioni più eclatanti, anche approvando il progetto di legge Fiano per consentire la chiusura dei negozi che vendono simboli del passato regime. Se s’interviene così, non si vede poi perché creare un museo a Predappio, località per nulla significativa nella storia del fascismo. Mussolini vi nacque, ma tutta la sua carriera si sviluppò altrove. Sono favorevole a fare un museo del fascismo, ma in una grande città. A Predappio sarebbe pericoloso, perché metterebbe in contatto i visitatori, per esempio comitive di studenti, con la presenza neofascista egemone sul territorio, ma anche sprecato, perché non avrebbe il rilievo che potrebbe assumere a Roma, a Milano o anche a Bologna. Anche il centro studi non può sorgere a mio avviso dal nulla in una località priva di strutture scientifiche e di ricerca.

MARCELLO FLORES – Negli anni Settanta a Predappio la situazione era ben più grave: una volta arrivarono i carri armati per evitare scontri. La crescita neofascista si registra in Italia, non tanto a Predappio, dove quella presenza è circoscritta ad alcune ricorrenze: marcia su Roma, nascita e morte di Mussolini. Definire il paese un’enclave neofascista significa offendere i suoi abitanti, in genere orientati a sinistra, che da tempo hanno chiesto senza esito di far cessare le parate nostalgiche. In realtà il fenomeno è sempre stato tollerato e non riguarda solo Predappio: al cimitero milanese di Musocco si rende ogni anno omaggio ai caduti della repubblica di Salò. Non credo che un contatto tra studenti in visita al museo e neofascisti, numerosi in paese solo per tre giorni all’anno, creerebbe pericoli: può anzi servire a modificare l’immagine falsa di Predappio. Un racconto ampio e articolato del fascismo rivolto al grande pubblico oggi manca e questa iniziativa può cominciare a colmare la lacuna. Quanto all’idea di un museo sul regime in una grande città, se non è stato proposto in settant’anni, non vedo come possa partire in tempi brevi. A Predappio c’è una possibilità reale, pur tra molte difficoltà, di fare un passo avanti nella narrazione del fascismo: opporsi rischia di riportare il tema allo scontro ideologico.

PAOLO PEZZINO – Quando parlo di enclave neofascista non mi riferisco certo ai cittadini di Predappio, che sono le vittime di una situazione inaccettabile tollerata troppo a lungo da chi avrebbe dovuto intervenire. Io sono favorevole a un museo del fascismo, tema su cui gli storici si sono confrontati in maniera feconda, ma senza portare all’esterno i frutti del loro dibattito. Predappio però non è il posto adatto: rischiamo di sprecare un’occasione importante senza in alcun modo arginare la presenza neofascista. Presenza che non è limitata a poche occasioni, perché ci sono anche i negozi che vendono cimeli e la tomba di Mussolini con tanto di guardia d’onore.

MARCELLO FLORES – Negli ultimi vent’anni sono sorti tanti piccoli musei sulla Resistenza o sulle vittime del fascismo. Iniziative parziali e locali, ma molto utili. Solo adesso si lavora per far sorgere a Milano un museo nazionale, anche se piccolo, sulla lotta partigiana. Mi auguro che in futuro sorga un grande museo del fascismo a Roma o altrove. Ma perché rinunciare a un’iniziativa che può partire subito? Può essere una spinta per andare avanti. Non accetto invece il discorso di alcuni oppositori (non certo Pezzino, ma per esempio la presidente nazionale dei partigiani dell’Anpi, Carla Nespolo), secondo cui un museo a Predappio non può che essere celebrativo del fascismo, a prescindere dai contenuti. Oltre che un’offesa verso chi ha lavorato al progetto, è un’evidente stupidaggine.

PAOLO PEZZINO – Ho visto il progetto, posso avere delle riserve su alcuni aspetti (il poco spazio dedicato alla Rsi, l’assenza del tema del confine orientale), ma nel complesso risponde a validi canoni scientifici e museografici. Il problema non sono i contenuti: è il luogo, anche per via di alcune dichiarazioni del sindaco Frassineti, che lasciano allibiti. Lui è stato il principale promotore dell’operazione per togliere a Predappio, diceva, il marchio neofascista. E ha fatto acquisire al Comune la Casa del fascio. Ma certe sue uscite sono di un’ambiguità preoccupante. Il 24 aprile 2015 rivendicava il consenso popolare al fascismo e rivelava di avere un fascio littorio inciso sulla scrivania, aggiungendo: «Guardo i simboli del fascismo e non sento il rumore del regime». Il 25 agosto 2015 proponeva di riaccendere come «magnete turistico» il faro della Rocca delle Caminate, residenza mussoliniana dove si riunì per la prima volta il governo della Rsi nel 1943. Infine l’11 luglio 2017 si è pronunciato contro il progetto di legge Fiano che vieta i simboli fascisti; ha detto che il regime «ha avuto tante facce, non solo quella tremenda degli ultimi anni», lasciando presumere l’esistenza di un fascismo «buono»; ha sostenuto che la marcia su Roma «non fu un golpe», bensì una manifestazione da cui nacque un governo di coalizione. Sono affermazioni gravi, che gettano un’ombra sull’intera operazione.

MARCELLO FLORES – Le parole di Frassineti vanno contestualizzate. La sua scrivania era di Mussolini e porta l’insegna del fascio, ma è stata utilizzata prima di lui da tutti i sindaci di Predappio: doveva bruciarla? Quando sostiene che non sente «il rumore del regime», vuol dire che non vede il pericolo di un ritorno del fascismo, quindi considera i suoi simboli parte della storia, non oggetto di battaglia politica. Inoltre non è stato Frassineti a proporre la riaccensione del faro della Rocca delle Caminate né si è pronunciato a favore, si è limitato a dire che potrebbe attirare turisti. Quanto alla legge Fiano, anch’io sono contrario: sarebbe inefficace contro il neofascismo, ma potrebbe dare luogo ad applicazioni abnormi da parte di magistrati inclini al protagonismo, visto che punisce anche la semplice esposizione di immagini. Che poi il fascismo abbia avuto «tante facce» è indiscutibile: non fu solo repressione e in alcune fasi raccolse un ampio consenso nel suo tentativo totalitario d’inserire le masse nello Stato. Non vedo nulla di scandaloso in quelle frasi di Frassineti.

PAOLO PEZZINO – Certo, il tema del consenso è cruciale: non siamo più ai tempi in cui Renzo De Felice veniva accusato di difendere il regime perché ne evidenziava la popolarità. Sappiamo però che sotto le dittature totalitarie repressione e consenso sono due facce della stessa medaglia. Perciò è equivoco adombrare l’esistenza di un fascismo buono: la condanna del regime deve restare netta, pur nella consapevolezza del rapporto complesso che instaurò con la società. Il consenso vi fu, ma in gran parte indotto dal controllo dello Stato sulla vita della popolazione. Quanto ai simboli del regime, vanno studiati, ma non esposti nell’ufficio di un sindaco. Non dico che la scrivania andasse distrutta, ma si poteva metterla in un magazzino e sostituirla.

MARCELLO FLORES – Certi simboli, tipo la scritta Dux sull’obelisco del Foro Italico, andavano magari eliminati a suo tempo, nel 1945. Adesso bisogna contestualizzarli, collocarli nel passato al quale appartengono. Se no si demonizza il fascismo, invece di spiegarlo. E si riporta la discussione, come fa l’Anpi, all’epoca in cui De Felice veniva messo sotto accusa perché parlava di consenso al fascismo.

PAOLO PEZZINO – È chiaro che non ci può essere una furia iconoclasta con settant’anni di ritardo. Però stiamo attenti a non banalizzare i simboli. Di recente il sindaco di Affile, nel Lazio, ha costruito con denaro pubblico un monumento al criminale di guerra Rodolfo Graziani. Ed è stato giustamente condannato per apologia del fascismo. In realtà il Paese non ha fatto fino in fondo i conti con il ventennio. La stessa Resistenza, pur con i suoi grandi e innegabili meriti, è stata usata come alibi anche da chi non l’aveva fatta e magari sotto il regime si era trovato abbastanza bene, perché credeva nella propaganda del regime o comunque non dava peso alle libertà politiche e sindacali. Il mito di un antifascismo popolare di massa, diceva Rosario Romeo, è servito anche a evitare una riflessione seria sul fascismo. Credo infine che l’estrema destra attuale abbia un rapporto soprattutto retorico con il passato regime. Certo non può resuscitarlo. Ma ciò non toglie che la si debba combattere, con la lotta politica e anche la repressione penale.

MARCELLO FLORES – Sono d’accordo, ma la lotta al neofascismo riguarda tutti i cittadini, non gli storici in particolare. Come curatore del progetto di Predappio mi interessano due punti. Il primo è far capire come la società italiana si fosse adattata al fascismo. Il secondo è rivolgermi ai giovani che hanno sentito raccontare quelle vicende solo in famiglia, per metterli a confronto con le acquisizioni della ricerca storica. Sovrapporre a queste esigenze quelle della lotta a Forza Nuova o CasaPound, come vuol fare l’Anpi, è una iattura, perché riduce il discorso a una dimensione politico-ideologica, avvantaggiando chi tende a edulcorare e banalizzare il fascismo. Cosa che il nostro progetto non fa: s’intitola Italia totalitaria proprio per richiamare l’analogia tra fascismo e nazismo.

PAOLO PEZZINO – L’Anpi ha sempre ribadito il suo impegno militante contro il fascismo, ma non mi sembra abbia mai interferito sulla necessità di studiare scientificamente il rapporto tra il regime e la società del tempo. Non è contro un museo sul fascismo, ma contro l’ipotesi di farlo a Predappio. Inoltre, dato che ho portato a compimento un progetto sulle stragi nazifasciste promosso dall’Anpi e dall’Istituto nazionale Ferruccio Parri e finanziato dal governo tedesco, posso testimoniare che da parte della stessa Anpi non ho mai registrato interferenze nel nostro lavoro, anche se l’argomento presentava aspetti delicati per l’immagine della Resistenza, come le memorie divise delle vittime e le accuse rivolte ai partigiani per aver provocato le rappresaglie.

 

Corriere della Sera – La Lettura.

www.corriere.it/la-lettura/