Giovani creativi fragili.

L’Italia non è un Paese per giovani, per quanto creativi, preparati e, in qualche modo, pronti a tutto. Ma la radiografia che arriva da Ora! il bando (triennale) promosso nel 2015 dalla Compagnia di San Paolo di Torino «a favore dell’innovazione culturale» contraddice, almeno in parte, il luogo comune di una società, quella italiana, poco pronta ad accogliere le nuove risorse e ci offre una realtà, quella dei «linguaggi contemporanei e delle produzioni innovative», dove i giovani made in Italy (si parla di under 35) appaiono, per quanto sempre molto creativi e preparati, spesso anche poco consapevoli delle loro capacità e poco connessi «tra i diversi ambiti culturali». E, per questo, estremamente fragili. Una fragilità che, spiega Matteo Bagnasco, responsabile dell’Area innovazione culturale della Compagnia, «coinvolge però anche le strutture, fondazioni e associazioni culturali, che fanno da contenitore per questi progetti culturali, ma che si rivelano spesso poco attente alle esigenze dei giovani talenti».

Tutto è nato da un bando ( Ora! appunto) destinato, inizialmente, a sviluppare «una cultura del progetto culturale», come la definisce Francesco Profumo (dal maggio 2016 presidente della Compagnia), che ha attirato 250 candidature (144 dal Piemonte, 106 dal resto d’Italia): di queste ne sono state scelte 25 (con altrettanti progetti), tra cui sono stati divisi i 750 mila euro di finanziamento. Proprio la dimensione nazionale del bando e «la forte risposta ottenuta» hanno spinto la stessa Compagnia di San Paolo «a capitalizzare, attraverso una ricerca sui soggetti che hanno presentato candidature, le informazioni raccolte per sviluppare future strategie di intervento». L’idea è stata quella di realizzare «una piattaforma capace di accompagnare i progetti e i loro autori a diventare definitivamente impresa». Così, in attesa del prossimo nuovo bando (nella primavera 2018), «saranno individuati 4-5 progetti da seguire e accompagnare, anche con un supporto finanziario e con l’aiuto gestionale di manager».

Prime indicazioni: la maggior parte dei progetti è risultata legata alle performing art e all’arte contemporanea, mentre, forse a sorpresa, proprio l’arte contemporanea è risultata quella più sensibile (insieme all’area delle tecnologie digitali) alla «connessione con altre forme di espressione culturali» (nome in codice «crossdisciplinarietà»). Come nel caso di Apnea: un’installazione artistica della Fondazione 107 di Torino che — con uno spirito molto vicino a quello di Carne y arena di Alejandro G. Iñárritu alla Fondazione Prada di Milano — «vuole esplorare la dimensione emozionale dei migranti che attraversano il mare, tracciando attraverso le tecnologie immersive e interattive una mappa di sentimenti e paure». O del Socrate il sopravvissuto dell’Associazione culturale Anagoor Castelfranco Veneto (Treviso), performance corale (un ambito a cui è stato dato gran rilievo nell’ultima Biennale di Venezia curata da Christine Macel) «sul tema dell’educazione oggi, realizzato attraverso la figura di Socrate e partendo dal romanzo Il sopravvissuto di Antonio Scurati». O, ancora, di Animal Spirits della cooperativa il Gaviale di Dro (Trento): «Un art-based brand che offre strumenti, come la serie Aphrodisia fatta di gioielli, profumi e tappeti con cui il singolo può divenire più attivo e conscio della propria forza e posizionarsi più consapevolmente nella sfera pubblica».

L’indagine ha evidenziato che hanno partecipato al bando soprattutto le associazioni nate dopo il 2010. In pochi casi, però, al loro interno è presente un vero progettista culturale, solo il 45% della forza lavoro delle organizzazioni è contrattualizzato e molte di queste realtà hanno un fatturato non superiore a 20 mila euro.

Nonostante la maggior parte dei soggetti candidati abbia personale under 35, l’età media dei team attivi sui progetti risulta al di sopra dei 35 anni, mentre l’età media degli artisti coinvolti è di 41 anni e sono, in pratica, assenti gli artisti giovani e, in particolare, i giovanissimi. Per quanto riguarda, poi, la distribuzione geografica (il progetto era destinato a concretizzarsi nell’area di Torino ma era aperto a tutta Italia), la maggior parte delle organizzazioni concorrenti ha sede nel Nord-Ovest e, in particolare, «in territorio urbano». Il bando, spiegano gli organizzatori, ha avuto il merito di raggiungere realtà nuove e al di fuori dell’usuale territorio di azione della Compagnia di San Paolo: difatti il 30% delle realtà ha sede fuori dal Piemonte e dalla Liguria. Il 20% dei partecipanti lavora abitualmente a livello regionale, il 15% su scala nazionale e solo l’11% «su scala internazionale, avendo costruito una rete di partnership a livello europeo o avendo la capacità di attrarre sul territorio artisti internazionali». Il 62% dei progetti presenta, infine, un budget compreso tra 30 e 60 mila euro e il 57% dei soggetti ha richiesto alla Compagnia di sostenere l’attività con una cifra compresa tra il 75% e l’86% del costo totale del progetto. Le organizzazioni che lavorano a livello locale dimostrano di saper attingere più delle altre a risorse proprie e anche di riuscire ad acquisire più facilmente fondi da parte di altri finanziatori e di attivare strumenti di fundraising .

Da dove nasce, dunque, la fragilità, dei giovani e delle strutture a cui viene affidato lo sviluppo dei progetti culturali? Tanto per cominciare si potrebbe parlare di una generale assenza di connessione: «La crossdisciplinarietà — spiega ancora Bagnasco — non è la modalità di lavoro più diffusa tra le organizzazioni culturali, prevale infatti una concezione di interazione come somma di diversi settori culturali anziché come compenetrazione tra differenti saperi, a cui si accompagna la realizzazione di un limitato numero di attività».

Artisti e progettisti sono «caratterizzati da grande frammentarietà dei percorsi professionali, cosa che da una parte può essere vissuta come una grande ricchezza in termini di relazioni e opportunità di crescita, ma che allo stesso tempo può denotare fragilità rispetto all’acquisizione di competenze solide e della stabilità finanziaria». Altri elementi di fragilità: la mancanza di un’effettiva riflessione sul pubblico destinatario del progetto culturale e la difficoltà nell’esplicitare e raccontare con chiarezza le proposte. E, infine, a livello di concorrenza internazionale, una fragilità digitale: perché sono pochi i progetti «che ne prevedono un utilizzo come elemento di produzione, per la maggior parte rimane uno strumento destinato alla distribuzione e al consumo».

La ricerca ha messo in evidenza i caratteri che maggiormente si ritrovano nei soggetti e nei progetti più convincenti, arrivando a definire un profilo di «candidato ideale» che presenta cinque caratteristiche ricorrenti, una sorta di ricetta, non solo per i giovani ma anche per le fondazioni e gli enti che fanno da incubatori: la capacità di lavorare in team («La progettazione risulta particolarmente efficace se il lavoro è concepito come corale e se alla figura creativa è affiancato un progettista sin dalla fase di ideazione»); le competenze monodisciplinari («il candidato ideale ha la capacità di sviluppare progetti complessi grazie a una solida preparazione monodisciplinare»); la capacità di attivare reti internazionali; la propensione verso un aggiornamento costante; la capacità di mettere insieme le competenze e non di contrapporle.

 

Domenica 24 Dicembre 2017, La Lettura.

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