Un matrimonio bellissimo

di Carlo Verdelli
Nel fiume impetuoso e fastidioso di parole che stanno accompagnando questa crisi, rischiano di andare perdute alcune frasi che invece andrebbero tenute bene a mente per capire quali sbocchi prenderà la tormentata trattativa in corso a Palazzo Chigi e dintorni. Una l’ha pronunciata proprio Luigi Di Maio, all’uscita dalla prima consultazione al Quirinale, e ieri l’ha platealmente confermata: non rinnego niente di quanto abbiamo fatto in questi quattordici mesi. In quel “niente”, ci sta tutto, compreso il decreto sicurezza più illiberale della nostra storia repubblicana. E per evitare fraintendimenti in materia, il suo capogruppo Patuanelli l’ha ribadito in uno dei tanti salotti televisivi spuntati come funghi dopo la tempesta scatenata dall’improvvido Salvini.
Quindi, almeno per il partito di maggioranza, porti chiusi, multe immorali alle Ong, smantellamento delle strutture di accoglienza.
Se questa è solo tattica per contrattare meglio il potere che verrà, lo si capirà nei prossimi brevi giorni. Ma il “governo di novità”, appena annunciato dal premier incaricato Giuseppe Conte, sembra parente stretto di quell’«anno bellissimo» che lo stesso Conte prometteva a inizio 2019. Tutto si può dire di questo 2019 tranne che sia stato bellissimo. Tutto si può dire del governo in travagliata incubazione tranne che sia partito spedito su una strada diversa, verrebbe da auspicare opposta, rispetto a quella battuta con cipiglio severo e presunzione incosciente dall’esecutivo che l’ha preceduto.
Quello tra 5stelle e Pd è con tutta evidenza un matrimonio d’interesse. L’interesse primario del Movimento è di evitare un ritorno alle urne che, come hanno dimostrato le ultime Europee, non si profilerebbe trionfale. Quello del Pd, che pure alle medesime Europee ha fatto meglio del promesso sposo, è di scongiurare il pericolo di una destra estrema dominante. In maniera scomposta e anche contraddittoria, l’ordine mondiale sembra tifare perché le nozze alla fine si celebrino. Da Trump all’Europa, che non sono esattamente sulla stessa linea, dai mercati ai padri nobili della patria e persino a quelli del sindacato, il “tutto fuorché Salvini” sembra premiante rispetto alla congenita differenza di genere tra i due contraenti. Il problema, da oggi al ritorno al Quirinale di mercoledì prossimo, è capire quale idea dell’Italia ha in mente l’avvocato Conte, che non è né può essere arbitro o sensale del tentativo d’unione in corso, per tre ragioni evidentissime. La prima è che ha guidato un esecutivo incompatibile con l’idea di Paese che, si presume, abbiano o debbano avere i volonterosi esponenti del partito di Zingaretti. La seconda è che non c’è stata da parte sua ombra di autocritica, circa il molto discutibile operato della falange gialloverde, salvo assestare qualche reprimenda tardiva al partner che l’ha incomprensibilmente tradita, ovvero il bulimico Matteo Salvini. Terzo, e non ultimo, il fatto che l’avvocato Conte non è un marziano sbucato dalla galassia per rappresentare le Istituzioni ma l’alfiere scelto dai grillini per rendersi credibili alla loro prima esperienza di comando e, adesso, per continuare a rimanerci.
La questione fondamentale, molto prima di chi farà il ministro o il commissario di cosa, è quanto sarà “nuovo” il governo che verrà rispetto a quello che ci ha lasciato, tra l’altro a crescita zero sul piano economico e ai diritti sottozero su quello civile. È lampante che storia e orizzonti dei due potenziali alleati attualmente in commedia hanno ben poco in comune, a parte una quota importante di elettorato passata dal partito più antico al più giovane, delusa dal primo e attratta dalla carica vagamente e variamente anti-sistema e ribellista del secondo. Ma perché il percorso accidentato che ancora separa i contraenti dall’altare si possa dignitosamente completare è indispensabile lavorare da subito, che il tempo è pochissimo, sugli elementi che uniscono. Tra questi, senza stilare elenchi di buoni propositi innocui, c’è l’esigenza di ripristinare patti e ponti con l’Europa, abbandonando le scorciatoie pericolose imboccate sulla via del Cremlino o sul concetto altrettanto pericoloso di sovranismo. E ancora, giusto restringendo il campo alle emergenze prime, andrebbe messa in testa al contratto bis la volontà condivisa di riparare le lacerazioni da odio e paura lasciate in dote dalla gestione precedente. Il che non significa sottovalutare il bisogno di sicurezza dei cittadini. Anzi, quel bisogno va ascoltato e accolto, senza però ingigantirlo con un terrorismo ad alto tasso di disinformazione. I germi di razzismo e intolleranza seminati a piene mani nell’ultimo periodo daranno frutti avvelenati, di cui pagheremo tutti prezzi altissimi, i giovani per primi.
Un matrimonio, per quanto palesemente non baciato dall’amore, si riesce comunque a celebrare a patto di non pretendere di trasformare un embrione di unione in una sudditanza imposta dal più forte (numericamente) sul più debole. Vanno rispettati, come base, almeno i principi su cui si basano le rispettive identità. Quale sia quella dei 5Stelle, sarebbe interessante capirlo meglio, anche alla luce di quella esibita nostalgia per il connubio con la Lega che sembra pervadere i primi passi del dopo strappo. Per come è cominciata la trattativa, qualche dubbio sugli immediati sviluppi si rafforza, ma sarebbe bene dissolverlo prima che sia troppo tardi.
Un’Italia guidata da un’ultradestra così ultra come mai nella nostra Repubblica spaventa non soltanto il Pd, che pure bene o male si è mosso per sventare l’ipotesi, ma chiunque tenga ai valori fondamentali della democrazia liberale. Di certo non sarà un matrimonio mal combinato a scongiurare il fantasma. Purtroppo, un brutto matrimonio, neanche temperato dalla buona volontà di chi porgerà il dito per l’anello, darà invece a quel fantasma corpo e forza. Cioè voti. L’avvocato Conte ha accettato con riserva un incarico pesantissimo in un momento fatale. Il destino di questo Paese, almeno fino a mercoledì, è principalmente nelle sue mani. Le tenga il più possibile libere, e se ne porti una sul cuore, l’altra sul testo che ci ha reso nazione, la Costituzione.
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