Un gioco pericoloso

 

di Massimo Franco

 

L’impressione sgradevole è che dietro i venti punti caricati ieri a sorpresa sulla trattativa da Di Maio ce ne sia soprattutto uno: il suo ruolo di vice, complicato dai contrasti nel M5S.

Sull’altare della sopravvivenza da numero due a Palazzo Chigi, il leader grillino ha deciso di giocare pesante: a costo di mettere a rischio le prospettive dell’esecutivo in embrione di Giuseppe Conte. Nelle parole grondanti nostalgia sui quattordici mesi di contratto con la Lega di Matteo Salvini, si coglie per intero il rimpianto di Di Maio per la fine di quella fase; e l’incapacità di analizzare con occhi freddi la nuova.

Un premier incaricato e imbarazzato ha commentato le parole del suo ex vice all’uscita delle consultazioni con un emblematico: «Non le ho sentite». Risposta diplomatica, che vela lo sconcerto non solo di un Pd irritato per l’ennesimo tentativo di alzare spregiudicatamente la posta. Nello stesso Movimento, dietro l’apparente «quadrato» intorno al leader si colgono malumori palpabili. Tra l’altro, a nessuno è sfuggito che mentre parlava di programma Di Maio ha sostenuto di avere «rinunciato per due volte» a fare il premier: una dopo le Politiche del 2018, qualche settimana fa su proposta di Matteo Salvini.

Ricostruzione un po’ fantasiosa, nel suo narcisismo. Nel 2018 non rinunciò ma dovette prendere atto che non esistevano né numeri né condizioni politiche per guidare il governo. E l’offerta più recente sarebbe arrivata fino al Quirinale in extremis, quando Salvini ha capito che non avrebbe ottenuto le elezioni anticipate: uno zuccherino allungato fuori tempo massimo a Di Maio, per solleticarne le ambizioni frustrate, e sfruttarne l’irritazione per l’ascesa di Conte e le accuse di avere portato i Cinque Stelle a una sconfitta clamorosa alle Europee. In realtà, andare a Palazzo Chigi come premier per lui è stato un miraggio quanto e forse più che per Salvini.

Ma non è chiaro fino a quando insisterà con la miscela di richieste programmatiche e personali; e quali danni sia disposto a mettere nel conto. Nel partito di Nicola Zingaretti aumentano la diffidenza e il sospetto che sotto sotto Di Maio stia ancora pensando alla diarchia con la Lega, stavolta riproposta da un Movimento spaccato; e dunque non escluda di tentare l’ultimo azzardo con Salvini, provocando elezioni a breve. Ricostruzione suggestiva ma a sua volta sospetta. Potrebbe far pensare anche il contrario: e cioè che nel Pd rimanga una voglia di voto pronta a utilizzare le impuntature di Di Maio per raggiungere l’obiettivo.

In entrambi i casi, per Conte sarebbe un problema; e soprattutto, un guaio per l’Italia. La costanza con la quale fino a ieri è sceso lo spread, l’interesse pagato dagli investitori per comprare il debito pubblico italiano, mostra una reazione positiva dei mercati finanziari: nel senso che il governo in incubazione viene considerato più rassicurante di quello giallo-verde affossato maldestramente da Salvini. Un’Europa già alle prese con la follia della Brexit è pronta a accogliere a braccia aperte una maggioranza che non destabilizza ma accompagna i nuovi equilibri continentali. E i sondaggi premiano il M5S.

Lo premiano attraverso l’«effetto Conte» e il tentativo di formare il nuovo governo, però; non per gli ultimatum minacciati da un Di Maio che dovrebbe esserne il primo sostenitore. Forse, la vera spiegazione è che il capo grillino tende d’istinto a comportarsi col Pd e con Conte come Salvini si è comportato con lui negli ultimi quattordici mesi: e cioè da padrone virtuale della maggioranza, destinato a schiaffeggiare quotidianamente l’alleato e a imporre condizioni su condizioni. Sarebbe la sua nemesi quasi inconscia, figlia dell’illusione che, se al ministro dell’Interno della Lega ha portato tanti consensi, può darsi ne faccia recuperare un po’ anche a lui.

Ma se così fosse, significherebbe non avere ricavato nessuna lezione dall’epilogo traumatico e surreale del «contratto» tra M5S e Carroccio; e gettare le basi per rendere ingestibile e precario anche il prossimo governo, se vedrà la luce. È un gioco spericolato, legato ai timori per le dinamiche centrifughe apertesi nel M5S, e in vista delle votazioni sulla piattaforma Rousseau per approvare i nuovi accordi. E pensare che tra le prime preoccupazioni del presidente del Consiglio incaricato c’è quella di evitare la rissa continua tra alleati della sua passata esperienza. Stavolta, se vuole evitarla, Conte dovrà guardarsi soprattutto da chi l’ha indicato per Palazzo Chigi.

 

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