Chi era in campo non si è tenuto alle regole del gioco in democrazia all’epoca del proporzionale: l’obbligo di formare alleanze, negoziando insieme i passi indietro necessari, per costituire una maggioranza parlamentare. Ecco il principale errore, ma chiamiamolo pure «scorrettezza» o mancanza di un «impegno leale», con cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dovuto fare i conti. Alla fine si è rassegnato a battezzare lui un governo, «neutrale e di servizio». Con la prospettiva di farlo restare in carica fino a dicembre, nella migliore delle ipotesi, o per poche settimane, se non otterrà la fiducia delle Camere. Il futuro premier sarà convocato al Quirinale oggi, in un clima di serpeggianti polemiche e tensioni. Ieri il capo dello Stato ha trascorso la giornata con un occhio alle agenzie di stampa, che riferivano del pressing dei salviniani su Berlusconi, «affinché consenta di far partire un esecutivo della Lega con i 5 Stelle» (ipotesi cui al Quirinale non si crede più). E con l’altro occhio al foglio dove ha scritto la rosa di nomi per la premiership e per i ministri del «suo» governo. Ancora poche ore e sapremo tutto.