Siena e quel passato che non si può tirare come una coperta

il dibattito sullo sviluppo della città

di Pierluigi Piccini

Caro direttore,

mi sento in dovere di rispondere all’assessore del Comune di Siena Francesco Michelotti, almeno ad alcuni dei punti cui accenna nella lettera pubblicata dal Corriere Fiorentino col titolo «La Grande Siena e i 30 anni sprecati dalla sinistra» (30 maggio). A lui, visto che ama dare giudizi netti sul passato mettendomi in mezzo, chiedo: il problema del rapporto con gli altri Comuni e particolarmente con i confinanti è una necessità vera, oppure no? Non ha constatato che adesso il tema è tornato con forza in primo piano perché c’è da programmare la città dei prossimi anni e proprio le riflessioni sulle conseguenze della pandemia spingono a pensare a maglie larghe, ad aree urbane che abbiano conservato le qualità storiche e ambientali di Siena? Se una buona cosa non è stata condotta in porto da altri, per ostacoli politici e dissensi che sono stati ben chiariti, diventa questo un alibi per non riprendere e aggiornare intuizioni e obiettivi corretti e tendere a realizzarli, per quanto possibile? Il passato non va tirato da tutte le parti e usato in base alle convenienze del momento, come si sta facendo per coprire un evidente vuoto di idee. Le scelte rivendicate oggi nel Piano operativo, che prevedono soltanto il 33% di riuso dei 174 mila mq. di nuovo costruito, risalgono nella quasi totalità a previsioni di dieci o quindici anni or sono. Queste decisioni a quale passato appartengono? Io sono stato sindaco dal 1990 al maggio 2001, quindi non sono a me riferibili. Ma parliamo pure della presunta «discontinuità» rappresentata — si dice — dalla Giunta De Mossi che, per i grandi edifici vuoti del centro storico, non ha previsto nessuna destinazione d’uso. Le previsioni sono lasciate alle varianti, nel caso si dovessero rendere necessarie. Ciò è il segno più evidente di un’assoluta mancanza di visione per la città del domani, in relazione alle priorità emerse anche dal dibattito svoltosi sulle pagine del suo giornale, che non mi pare aver avuto alcunché di «surreale»: patrimonio artistico e creatività contemporanea, ricerca in ambito biomedico e non solo, nuovi rapporti con il contesto agricolo. Tutto è all’insegna di una riduzione sostanziale di anacronistiche posizioni di rendita e, tanto più, dell’enfasi del tradizionale turismo. Le scelte della Giunta spingono invece nella direzione opposta: si potenzia la struttura commerciale al dettaglio di oltre 21 mila mq. e, allo stesso tempo, si vogliono contingentare le licenze di somministrazione nel centro storico. Decisione subito contraddetta dalla liberalizzazione della media superficie di vendita, che include autorizzazioni alla somministrazione nella stessa parte della città, per non parlare della grande distribuzione: ben tre attività, fra le tante altre, sono previste in una sola arteria stradale. Si annunciano inoltre i pulmini turistici per attraversare il centro cittadino, annullando di fatto una scelta lungimirante (avviata nel 1965, prima città in Europa) che ha liberato le strade del centro storico dal traffico. Nel passato non tutte le vacche erano grigie, come Michelotti vorrebbe far credere: sono state fatte scelte che hanno rappresentato importanti elementi di innovazione, come quelle del Piano di completamento di Bernardo Secchi (1996). Si tratta di vacche colorate che risalgono al periodo nel quale sono stato prima assessore e poi sindaco. Tra l’altro, se Michelotti andasse a studiare quel Piano si accorgerebbe che la previsione della «Grande Siena» era già lì contenuta, all’interno di una strategia di completamento e non di espansione, che all’epoca rappresentava una posizione non semplice: le organizzazioni economiche e i partiti, che avevano un peso nella società e nella gestione del potere oggi inimmaginabile, spingevano in tutt’altra direzione. Alcuni protagonisti di quel periodo sono ancora attivi nella scena politica, e sicuramente giudicheranno positivamente le scelte che l’Amministrazione comunale di Siena sta definendo. A chi avrà la pazienza di leggere queste righe ricordo che nel 2001, quando ho lasciato il ruolo attivo di amministratore pubblico e subito prima che fossi espulso dal partito, la Fondazione del Monte dei Paschi valeva 11 miliardi di lire. Sempre per colorare un po’ il passato e non abbozzare periodizzazioni prive di fondamenti. Quello che è successo dopo va chiesto a chi ha governato con l’appoggio di personaggi e forze politiche che oggi sostengono l’avvocato De Mossi e lo stesso assessore Michelotti. La conseguenza del modo errato di prospettare i problemi, non basandosi su conoscenze documentabili, è di fare solo figuracce.

 

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