Attenzione ai superlativi

di Pierluigi Piccini

 

Personalmente non amo i superlativi, siano essi assoluti o relativi. Per contro, è un po’ di tempo che questi aggettivi fanno parte, disinvoltamente, della comunicazione politica senese. Vengono usati ogni volta che l’amministrazione comunale parla di se stessa o si mette in relazione con l’esperienza amministrativa precedente. Tutto diventa relativo, mai fatto prima o esclusivo. E l’esclusività può riguardare un po’ tutto: i rapporti con potenziali investitori stranieri, siano essi olandesi o cinesi, mostre e iniziative fieristiche, i vari mercatini  che ogni volta raggiungono presenze numeriche eccezionali, mai viste prima, fino ai dibattiti, quelli che sarebbero in grado di distruggere il pensiero unico. Poi quando vai a vedere tutto si sgonfia e  prende una dimensione da strapaese, o meglio da pro loco che, coerentemente, viene proposta come soluzione per una città come Siena. Dei rapporti con l’esterno non abbiamo ad oggi nessun ritorno effettivo, mentre continuano quello che altri soggetti istituzionali hanno creato e coltivato. In pratica, il sindaco e l’assessore che vanno in Cina, sono semplicemente degli ospiti dell’Università di Siena. Le mostre non ne parliamo: format comprati sul mercato delle esposizioni sia che si parli  di Tex Willer o di Salvador Dalì. Quest’ultima iniziativa sul pittore catalano offerto in tutte le salse, in ogni parte d’Italia, è diventato l’oggetto del desiderio di una parte politica della maggioranza comunale e del suo capogruppo. Una proposta così “nuova”, così “legata” alla città da far riaprire lo stesso Palazzo delle Papesse per tentare di sostituirsi ad una memoria totalmente diversa e per “ucciderlo” per la seconda volta. La politica culturale del Comune non riesce a produrre più nulla di significativo, se non piccoli avvenimenti (compresa la donazione opere d’arte per il piacere fiscale del donatore) e a mettere in campo iniziative fortemente criticabili. Come la campagna su Daniele da Volterra che ha visto  De Mossi partire, lancia in resta, per richiedere il deposito delle opere di proprietà di un privato senese, ma poi  si è dovuto accontentare di un impegno generico per una futura mostra a Siena e Volterra. L’unico fatto positivo è che l’Amministrazione provinciale di Siena (non il Comune) potrà richiedere la restituzione a titolo di proprietà delle due opere di Andorfer oggi in deposito presso gli Uffizi. Per non parlare di Fusaro e Socci, iniziativa che ha diviso i senesi reintroducendo nel dibattito etico e sociale l’ideologia di parte o, del cubo prestato dalla Bauhaus di Weimar abbandonato in

Giuseppe Terragni

piazza del Duomo senza che né i senesi, né i turisti ne comprendano il significato. Ma l’evento che ci ha fatto preoccupare è stato la Fortezza delle idee. Dopo l’ennesimo squillo di trombe su questo evento, ci siamo detti: hai visto mai che, dopo due anni, forse riusciranno a trovare una strategia per il futuro della città? Francamente la preoccupazione era tutta politica, ma l’interesse per le sorti di Siena era vero e per nulla affatto negativo. Confidavamo che avrebbero chiamato, anche se con due anni e mezzo di ritardo, personalità capaci di progettare qualcosa di esclusivo e di inedito, in grado di riposizionare la città nel panorama nazionale e non solo. Invece, nulla di tutto ciò, le proposte di cui si è discusso sono di questo livello: lo spostamento del mercato settimanale dentro la Fortezza e la costituzione di una proloco senese. Fatelo, ma è tutto qui? Persino Montepulciano, Montalcino o Poggibonsi riescono a sviluppare progetti e interagire a un livello internazionale, in una misura invidiabile per il capoluogo. Da un dialogo con queste realtà Siena ne avrebbe tutto da guadagnare: meglio di niente, basterebbe almeno questo sforzo per fare qualcosa di positivo. Invece, c’è l’aggravante di una chiusura stizzosa dentro le mura. L’atmosfera che si respira è quella di una città sempre più marginale, ormai assente nelle iniziative che in varia natura accadono a livello nazionale e internazionale, che rimedia con un campanilismo da proloco, appunto, che fa male sopratutto alle vere tradizioni senesi e allo sviluppo di una città in crisi.