RAGAZZI D’ASIA: ALI IN CERCA DEL TESORO FANTASMA, KAMAL E GLI ORRORI DELLA ROTTA BALCANICA

I bambini che lavorano nelle strade di Teheran tra piccoli furti e ansia di vivere è in “Figli del sole” di Majid Majidi, candidato all’Oscar, in bilico tra realismo e fantastico; “Europa” di Haider Rashid racconta con vigore espressionista la caccia all’uomo sul confine turco-bulgaro ai danni di un gruppo di fuggiaschi iracheni, tra cui Kemal, che sopravviverà diventando egli stesso un “colpevole”

La vita di ragazzi e adolescenti d’Asia torna sullo schermo in due film assai interessanti e di ispirazione molto diversa, accomunati da un interesse forte per le realtà difficili e dall’empatia verso un mondo giovanile cui guerre e miseria stanno togliendo non solo la gioia di crescere ma anche ogni speranza futura. In “Figli del sole” di Majid Majidi, entrato per l’Iran nella quindicina di candidati all’Oscar per il miglior film straniero, e il cui giovane protagonista Rouhollah Zamani è stato premato l’anno scorso alla mostra di Venezia, vediamo i temi della povertà urbana e della negazione di istruzione e futuro declinati nella forma di un drammatico ma anche avvincente racconto d’avventura.

Al dodicenne Alì e ai piccoli compagni della sua “banda” di ladri di gomme d’auto nei parcheggi ricchi dei mall di Teheran, molti dei quali figli di profughi afghani, tocca l’oneroso e onorevole incarico di rintracciare un misterioso tesoro nascosto sotto un cimitero. Per arrivarci, però, si deve scavare un tunnel sotto una scuola che cerca di recuperare e ragazzi di strada, alla quale i piccoli si devono iscrivere fingendo di sperare in un avvenire diverso. Tra i ragazzini e i professori della povera ma nobile istituzione si crea una solidarietà forte che li porta a lottare contro la chiusura della scuola stessa, mentre in parallelo lo scavo sotterraneo prosegue, fino a una conclusione, forse un pizzico prevedibile, in cui sarà chiaro che se prospettive migliori questi giovani potranno avere non sarà certo restando nella loro condizione presente.

Nel 1999 lo stesso Majid fu il primo iraniano a concorrere alla statuetta con un altro film di ambiente e interessi giovanili, I ragazzi del Paradiso e sicuramente qui conferma una non comune capacità di far recitare, e anche un po’ giocare i suoi giovani attori, tutti non professionisti e molti presi dalla strada, decisamente a loro agio davanti alla cinepresa, cosa tutt’altro che facile. Ma soprattutto dimostra un sincero interesse verso queste realtà di sottomissione e sfruttamento, di ingrati doveri (nel mondo oltre 150 milioni di bambini oggi lavorano, spesso in condizioni di schiavitù e illegalità, per sostenere le proprie famiglie), e assenza di felicità e futuro. Ma sceglie di farlo senza retorica, anzi con un passo spettacolare, o come dice lui stesso con “un film divertente, energico, gioioso, pieno di avventura e coraggio, che mostra quanto siano capaci, pieni di risorse e resilienti questi bambini”. Missione sostanzialmente compiuta.

Figli del sole, di Majid Majidi, con Roohollah Zamani, Ali Nassirian, Mohammad Javad Ezzati, Tannaz Tabatabaei, Safar Mohammadi

L’angoscia dell’emigrazione e della fuga lungo i confini tra il nostro continente e l’Asia è invece al centro di Europa dell’italo-itracheno Haider Rashid, che “insegue”, come e con i poliziotti bulgari che cercano di non farlo entrare nel loro paese dalla Turchia al grido di “No Europa”, il già più adulto Kamal (Adam Ali, anche lui premiato, all’ultimo Festival di Cannes dove il film ha debuttato). Fuggito dagli orrori bellici del suo Irak martoriato dalla guerra civile, piomba in un altro tipo di caccia all’uomo, vittime lui e i suoi sventurati compagni lungo quella famigerata rotta balcanica che ha riempito boschi e fiumi bellissimi (come quelli che si vedono nel film) di cadaveri e terrore, tra cani, polizie e milizie xenofobe.

Lo stile di Rashid, che il film l’ha anche prodotto dedicandolo alle sue due nonne, già chiarissimo nella straordinaria sequenza buia iniziale, con la partenza del viaggio disperato e lo scontro coi mercanti di fuggiaschi, è concitato, estremamente coinvolgente, porta lo spettatore a sfiorare quasi con mano, certo con gli occhi, il sapore della paura, usando in modo molto espressivo il grandangolo controluce e la camera a mano (ricorda il Klimov di Va e vedi) e restando sempre a pochi centimetri da un volto deformato dal dolore, dalla fatica, dal terrore. Che appare all’improvviso, nello sparo di un soldato o nella reazione di una signora che prima accoglie in auto Kamal ferito, gli dà dell’acqua, e sembra quasi disposta a portarlo in ospedale, ma poi alla radio passa la notizia che i migranti hanno ucciso un poliziotto (lei non lo sa ma è stato proprio lui, per salvarsi) e il suo atteggiamento cambia, e lo getta fuori dall’auto sputando insulti e odio.

Un film quasi muto, che alterna pietà e ferocia e passa in un istante dall’assassinio senza incertezze del soldato alla sua immagine bionda, giovane e bella, che impressiona il quasi coetaneo Kamal, scuro e bello come lui, cosciente di essere al centro di una guerra di inciviltà che non conosce soste e non salva nessuno. Adam Ali ha un volto quasi immutabile e al tempo stesso riesce a esprimere tutte le sfumature della paura di morire e della determinazione a sopravvivere. Cosa che accade, con un finale lirico, in cui va alla deriva in una barca su un fiume, cantandosi una ninna nanna, quasi un’immagine alla Kusturica, che rovescia il clima ma non la sostanza di un esempio di cinema neo-espressionista emozionante, di spessore.

Europa di Haider Rashid, con Adam Ali, Svetla Yancheva, Pietro Ciciriello, Mohamed Zouaoui, Michel Segal

 

 

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