D’Agostino maestro cattolico della bioetica

1946-2022 Addio al filosofo e giurista

 

di Marco Ventura

 

Era nato nel febbraio del 1946, all’alba della nostra esperienza repubblicana e costituzionale, poche settimane prima del discorso in cui Churchill, sul suolo americano, constatava come l’U-nione Sovietica stesse facendo calare sull’Europa una «cortina di ferro». Ci ha lasciato ieri, proprio quando i nostri fondamenti politico-istituzionali sono messi in discussione dalla guerra in Ucraina nella quale la Russia ripropone un isolazionismo aggressivo non dissimile da quello denunciato da Churchill. Nel suo ultimo corsivo per «Avvenire», Francesco D’Agostino  ha invitato a non sottovalutare un consenso per Putin dalle profonde radici storiche e ideologiche. Da quella «reverenza verso un potere sovrano» zarista e imperiale, D’Agostino ha tratto spunto per un’ultima pennellata sulla più intima natura della sfida democratica: quanti amano la democrazia «diffidano del potere e cercano di limitarlo» insieme lo ritengono, se onesti, «una cosa buona» in cui «vedere l’ordine e la stessa possibilità di amministrazione della giustizia».

Ordinario di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto dal 1980, dapprima nelle università di Lecce, Urbino e Catania, e dal 1990 di Roma Tor Vergata, dove diresse il dipartimento di Storia e teoria del diritto, è stato presidente dell’Unione dei giuristi cattolici italiani e membro della Pontificia Accademia per la Vita e del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani. Negli incarichi anche ministeriali e negli scritti si è progressivamente delineata una personalità tutta del suo tempo e insieme originale. Rispetto a uno Stato che andava trasformando profondamente il proprio diritto, rispetto a una Chiesa impegnata nella transizione del post Concilio, Francesco D’Agostino si è mosso alla ricerca d’un equilibrio tra storia e filosofia, tra cultura e fede, tra politica e religione. In quella ricerca è emerso negli anni Ottanta l’ambito privilegiato della bioetica, terreno oggettivamente cruciale per una società travagliata dall’estensione a nuovi diritti delle conquiste del divorzio e dell’aborto, e soggettivamente propizio per una affermazione personale.

D’Agostino è divenuto così l’icona della bioetica italiana. Membro fondatore del Comitato nazionale per la bioetica nel 1990 e presidente negli anni 1995-1998 e 2001-2006, per anni il filosofo ha unito il profilo istituzionale, l’ambizione di mediare e unificare, e il profilo di leader d’una bioetica cattolica nemica della bioetica laica. Quando entrambe hanno perso ed è prevalsa una bioetica burocratica tanto lontana dalla passione dei precursori come lui, quando gli uomini degli anni Novanta sono stati poco a poco superati, il magistero di D’Agostino se n’è giovato, è rimasta un’istanza di fondo che si è valorizzata col tempo, anche agli occhi di chi non la condivideva.

In un Paese tanto cambiato nella società e nel diritto, nello Stato e nella Chiesa, nelle priorità e nelle preoccupazioni, possono infine esser lette con spirito diverso le pagine e le riflessioni di D’Agostino sulla giustizia. Si chiude la parabola di un tempo, tra la Repubblica del 1946 e quella di oggi, tra la cortina di ferro di allora e quella che sta calando ora, e nelle parole finali del giurista romano ci sono la sovranità, la democrazia, il potere e, appunto, la giustizia.

C’è soprattutto, silenziosa e potente, l’aspirazione a un diritto giusto, perciò legittimo e forte, e lontano da ogni reverenza verso un potere assoluto.

 

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