LA PANDEMIA E IL FANTASMA DI FOUCAULT

di Massimo Giannini
Sull’estensione del Green Pass e sul vaccino obbligatorio “la Ue sta con Draghi”, dice il commissario Paolo Gentiloni. Vorrei che fosse chiaro, a scanso di equivoci e in tempi di violenze No Vax-No Pass-No Brain: anche noi stiamo con Draghi. Come l’Europa, alla quale dal Forum Ambrosetti di Cernobbio, lancia l’ennesimo, accorato appello, Sergio Mattarella. E stiamo con Draghi non perché veneriamo il “governo dei Migliori” o siamo subalterni “ai Poteri Forti”. Questo sciocchezzaio luogocomunista lo lasciamo al pensiero debole delle destre populiste e alla vista corta degli orfanelli della Resistibile Armata gialloverde. Stiamo con Draghi perché, con molta fatica e molti errori, sul virus sta facendo oggi quello che a suo tempo chiedevamo a Conte. Libertà e salute marciano insieme: non c’è l’una senza l’altra. Economia e pandemia viaggiano all’opposto: la prima non riparte se la seconda non si ferma.
È in virtù di queste evidenze riconosciute in tutto il mondo che tolleriamo sacrifici personali e obblighi sociali mai sperimentati nella nostra convivenza quotidiana. E, come dimostra il sondaggio di Alessandra Ghisleri che pubblichiamo oggi, sta con Draghi anche la maggioranza degli italiani, che condivide le ulteriori misure annunciate dal presidente del Consiglio. È la conferma di quanto sia scellerata e miope la linea “Ni-Vax” seguita da Lega, FdI e quel che resta del M5S. Se mai esiste, la posta in palio è un miserabile “pugno” di voti, plasticamente materializzato prima dalla vergognosa aggressione contro un videomaker del nostro gruppo editoriale, poi dal clamoroso flop della crociata “No-Laqualunque” (come l’ha ribattezzata il divino Altan). Parafrasando Pietro Nenni: social pieni, piazze vuote. Ci pensi bene, soprattutto Salvini: vale la pena di perdere la faccia.
E magari pure il governo, per vellicare uno scampolo di middle-class impaurita e un branco di leoni da tastiera invelenito? E ci pensi bene anche Landini: vale la pena di fare questa battaglia di retroguardia contro il Green Pass nel pubblico impiego e nelle aziende private, per tutelare una minoranza sindacalizzata mettendo a rischio la sicurezza della maggioranza disciplinata?
Personalmente dico sì ai nuovi “doveri”, e non temo per i miei diritti. Già alla fine dello scorso anno, in una diretta a “Porta a Porta” su Raiuno, chiesi all’allora premier Conte perché, invece di uno stillicidio di raccomandazioni parziali e confuse, non varasse una legge sul vaccino obbligatorio per tutti. La risposta fu evasiva. Oggi ci stiamo arrivando, ed è giusto così. Anche Draghi ha compiuto a tratti scelte poco lineari: sui criteri di somministrazione, sulle fasce d’età. E anche Draghi si presenta con colpevole ritardo all’inizio dell’anno scolastico: non siamo ai banchi a rotelle, ma troppi prof non si vaccinano, e la app per i controlli ricorda il disastro della famosa “Immuni”. Ma la strada, ancorché tortuosa, è in ogni caso giusta.
Detto questo, qualche domanda possiamo pur farcela. Sul grado di coscienza e conoscenza che abbiamo su questa malattia e sulla sua cura. Sul rapporto tra Scienza e Politica. Sul bilanciamento dei nostri valori costituzionali. Sulla torsione del nostro ordinamento giuridico. Sono questioni serie, che sul nostro giornale ha rilanciato l’altroieri Massimo Cacciari. Alcune ampiamente condivisibili (come la scarsità di informazioni scientifiche di cui noi cittadini disponiamo). Altre chiaramente opinabili (come le restrizioni legate al Green Pass che configurerebbero una “sospensione tout court di principii costituzionali”). Ieri Vladimiro Zagrebelski ha risposto magistralmente a questi interrogativi. E non c’è altro da aggiungere, sul piano giuridico. Ma riconosco che il tema affascina, sul piano filosofico.
Se vi capita, riprendete in mano un grande “classico”: Michel Foucault, il filosofo di Poitiers scomparso nel 1984. Le pagine di “Sorvegliare e punire”, scritte nel 1975, sono di straordinaria e abbacinante attualità. “Alla peste risponde l’ordine; la sua funzione è di risolvere tutte le confusioni: quella della malattia, che si trasmette quando i corpi si mescolano; quella del male, che si moltiplica quando la paura e la morte cancellano gli interdetti. Esso prescrive a ciascuno il suo posto, a ciascuno la sua malattia e la sua morte, a ciascuno il suo bene per effetto di un potere onnipresente e onnisciente che si suddivide, lui stesso, in modo regolare e ininterrotto fino alla determinazione finale dell’individuo, di ciò che lo caratterizza, di ciò che gli appartiene… La peste come forma, insieme reale e immaginaria, del disordine ha come corrispettivo medico e politico la disciplina. Dietro i dispositivi disciplinari si legge l’ossessione dei contagi…”.
Risalendo ancora indietro nei secoli, Foucault ragiona sui “rituali di esclusione” indotti dal controllo delle pandemie. Riflette sulla “situazione d’eccezione”. “Contro un male straordinario, si erge il potere: esso si rende ovunque presente e visibile; inventa nuovi ingranaggi: ripartisce, immobilizza, incasella…”. In “La volontà di sapere”, pubblicato nel 1978, il filosofo francese teorizza con decenni di anticipo il concetto di “biopolitica” di cui oggi si nutre il nostro discorso pubblico: “Un potere che ha il compito di occuparsi della vita avrà bisogno di meccanismi continui, regolatori e correttivi… Non voglio dire che la legge scompaia, o che le istituzioni della giustizia tendano a scomparire, ma che la legge funziona sempre più come una norma… un continuum di apparati (medici, amministrativi) le cui funzioni sono soprattutto regolatrici”. La conclusione è inequivocabile: “È la vita, molto più che il diritto, che è diventata la posta in gioco delle lotte politiche”.
Perdonate le troppe citazioni. Ma è solo per dire che se si sostituisce “la peste” con il Covid; il “potere onnipresente” con il governo; “il potere onnisciente” con il Cts; i “dispositivi disciplinari” con il lockdown; la “situazione d’eccezione” con lo stato di emergenza; i “rituali di esclusione” con i divieti imposti a chi non ha il certificato verde; i “meccanismi continui, regolatori e correttivi” con i Dpcm; ebbene, il gioco è fatto. Foucault aveva capito tutto già 46 anni fa. E, in quel solco tracciato, Cacciari e Agamben cercano legittimamente un senso a questo complesso divenire che ci incalza, ci interroga, ci inquieta. Dobbiamo discutere su come gestiamo questo passaggio d’epoca. Proprio per non dover riconoscere, magari tra altri 46 anni, che quella volta i “chierici” non tradirono, ma avevano ragione.
Ma anche ammettendo tutto questo, bisognerà pur dare un briciolo di fiducia alle nostre stanche democrazie. Bisognerà pur credere che, nonostante il disincanto o addirittura il nichilismo di questa stagione, un po’ di anticorpi per accettare qualche limite senza temere il liberticidio li abbiamo comunque sviluppati. Scusate se semplifico, e i filosofi autorevoli che animano il nostro dibattito mi perdoneranno. Ma mi torna spesso in mente una vignetta agrodolce che circola da giorni sul web. Ritrae due donne affiancate. A sinistra c’è una giovane signora con una bella massa di ricci rossi e una Ffp1 verde calata sotto il mento, che protesta indignata: “Mascherine, Green Pass, tracciamenti… Viviamo in una dittatura!”. A destra c’è un’afghana nuovamente prigioniera del suo burqa viola, che dalla fessura per gli occhi la guarda basita e replica: “Ma vaffanculo!”. Non voglio banalizzare. Ma al fondo è un po’ anche questa la morale della favola.
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