Per i 5Stelle restano i due forni. Resiste il patto su Giorgetti.

Alla Commissione speciale in corsa pure il dem Boccia: alcuni grillini spingono per votarlo  e dare un segnale a sinistra. Il leader li ferma “perchè non possiamo noi rompere le intese”
ROMA. “Il nostro primo obiettivo resta quello dell’equità sociale”, dice Luigi Di Maio a Termoli, in provincia di Campobasso, mentre spiega che la “rivoluzione gentile del Movimento” sta per cominciare con il taglio dei vitalizi alla Camera. E che nulla potrà fermarla.

Ma il capo politico dei 5 stelle è molto meno sicuro di quanto non voglia apparire. È andato in Molise per cercare di tirar su la campagna elettorale del suo candidato alla Regione, Andrea Greco, che nelle speranze del Movimento potrebbe diventare il primo governatore grillino, ma che i sondaggi danno testa a testa con il centrodestra (unito, neanche a dirlo, da Forza Italia a Lega, Fratelli d’Italia e liste civiche connesse).
Le parole d’ordine lanciate ieri, a partire, appunto, dall’equità sociale, guardano tutte a sinistra. Nella regione più piccola d’Italia, è il centrodestra l’avversario da battere il prossimo 22 aprile. E siamo ancora nelle ore in cui bisogna dimostrare a Matteo Salvini che un’alternativa all’alleanza con la Lega c’è. E che il dibattito interno ai dem potrebbe evolversi in favore dei 5 stelle, magari grazie a un aiuto da parte del presidente della Repubblica Mattarella, che dopo un secondo giro di consultazioni andate a vuoto potrebbe fare un richiamo, più forte dei precedenti, alla responsabilità.

La verità, però, è che la trattativa col Pd è definita da chi ci sta lavorando “a bagnomaria”. Il che vuol dire che procede lentissima e che ci vorrà parecchio tempo per capire se possa portare davvero a qualcosa. Un modo per accelerarla in realtà c’era. Sarebbe stato – come intendevano fare alcuni deputati M5S dell’ex commissione Bilancio della Camera – votare oggi il dem Francesco Boccia alla presidenza della commissione speciale, quella che si insedierà a Montecitorio (al Senato è stata votata la settimana scorsa e sarà guidata dal M5S Vito Crimi), fino alla nascita del nuovo governo.

Il candidato premier ci ha pensato a lungo, ieri. L’indicazione iniziale per Giancarlo Giorgetti o per un esponente del Carroccio da lui indicato era stata messa in stand by. Ma alla fine ha prevalso un doppio ragionamento: “Non possiamo essere noi a dare l’idea di voler rompere i patti già fatti a livello parlamentare”, ha spiegato Di Maio a chi gliene chiedeva conto. In più, nonostante i toni dello scontro si siano alzati oltre il livello di guardia, rompere definitivamente ogni trattativa con la Lega non è nelle intenzioni del leader. Che ancora spera che Salvini possa abbandonare Silvio Berlusconi e Forza Italia e sposare un “governo di cambiamento”.

La paura dei vertici M5S è che anche gli “aperturisti” del Pd stiano in realtà facendo il loro gioco. Che il loro intento sia quello di imbrigliare il Movimento in un governo istituzionale di cui Di Maio non possa avere la guida. O che pretendano di essere talmente determinanti, da snaturare quanto promesso dai 5 stelle in campagna elettorale. Il capo politico non vuole dare l’idea di essere pronto a un governo a tutti i costi, “sia chiaro che il programma da cui si parte è il nostro – ripete agli ambasciatori – può essere declinato in modo diverso, a seconda dell’intesa che si farà, ma guai a dare l’idea che non sia centrale”. Da qui, la rinnovata battaglia sui vitalizi. Un modo per dire a tutti, che – se si torna alle urne – i 5 stelle potrebbero avere un’arma in più, quella di aver finalmente tagliato i costi della politica. La verità, però, è che il voto non lo vuole nessuno neanche nel Movimento. Di Maio compreso. La sua grande occasione è questa, e non è detto si ripeta.

Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/