La carta del Quirinale contro lo stallo: un terzo nome oltre i duellanti.

Le ipotesi allo studio per superare la partita dei veti incrociati tra M5S e centrodestra, a partire dai presidenti delle due Camere. Anche se i tempi si allungano un governo è destinato a nascere
ROMA. Il terzo uomo (o donna) è la carta finale di Sergio Mattarella per comporre una maggioranza e un governo. Nella partita dei veti e dei botta e risposta tra i due vincitori dimezzati Di Maio e Salvini, è quasi un obbligo cominciare a pensare a una soluzione che superi i leader e attraverso i loro passi indietro conduca a una soluzione. L’ipotesi può nascere spontaneamente (si fa per dire) dalle forze politiche prendendo atto che il sistema non ha partorito una vera guida. Il segretario della Lega lo ha capito (“non dico o io premier o morte”), il capo politico dei 5 stelle un po’ meno. Oppure può essere una soluzione bisbigliata, suggerita dal Quirinale per rompere l’impasse.

In questo secondo caso, non si scappa: la prima risposta va cercata nelle sedi parlamentari. Si parte, cioè, dai presidenti delle Camere. Per mille motivi, non solo per prassi istituzionale. Sono candidature che vanno ancora costruite, che hanno bisogno di tempo, ma quello non sembra mancare visto che si parla di uno slittamento del secondo giro di consultazioni (venerdì) e addirittura di un terzo. Senza contare che in mezzo si vota per le regionali in Molise (22 aprile) e Friuli (29).

I nomi fuori dalle autocandidature sono dunque quelli di Roberto Fico (Camera) e Elisabetta Alberti Casellati (Senato). Dire di no a una scelta istituzionale non è facile per i partiti. Entrambi i presidenti, poi, sono stati già votati da una maggioranza(qualificata): il centrodestra unito e i grillini. Ma i due non sono intercambiabili. Fico rappresenta la chiave di un accordo tra Movimento e Partito democratico. È l’anima di sinistra dei 5 stelle, il Pd non lo ha votato, ma ha applaudito alcuni passaggi del suo discorso di insediamento. Semmai sarebbe uno smacco per il deputato di Pomigliano d’Arco: per rimuovere il veto su di lui dovrebbe favorire un suo “avversario” interno. Ma il principio di realtà alla lunga è destinato a prevalere, se non ci sono altri sbocchi.

La Casellati è la soluzione per uno schema che al momento sembra in alto mare: un patto grillini e centrodestra. I 5 stelle l’hanno votata al Senato ma resta la paladina delle battaglie contro i magistrati di Silvio Berlusconi. Sostenerla da premier non è la stessa cosa. Però quel voto peserà, sul filo di lana respingere il suo nome diventerà un problema. Anche per il ruolo di seconda carica dello Stato. Dopo la strada istituzionale esiste naturalmente quella politica, ovvero una soluzione che nasce dentro le forze di maggioranza annullando i veti. Giancarlo Giorgetti, il leghista apprezzato da molti, può andare a Palazzo Chigi con la benedizione di Salvini, l’appoggio di Forza Italia e una cornice che prevede sia i 5 stelle sia (se i grillini si chiamano fuori) l’apertura al Pd (che il segretario leghista però esclude a priori). Se invece parte un dialogo Grillo-Partito democratico allora Giovanni Maria Flick, già presidente della Corte costituzionale, continua a essere una candidatura possibile. Il professore si è molto avvicinato al Movimento e allo stesso tempo ha vissuto tutta la stagione dell’Ulivo accanto a Romano Prodi. Nel gioco della tattica alcune dichiarazioni dei leader vanno però prese sul serio. Ad esempio, Di Maio ha chiaramente spiegato che non accetterebbe un presidente del Consiglio non eletto, un esterno che suonerebbe troppo come un bis del governo Monti. Altrimenti gira anche la voce su un coinvolgimento di Raffaele Cantone. Il presidente dell’Autorità anticorruzione è l’uomo che viene sempre chiamato in causa quando bisogna confermare la liceità di un comportamento politico legato alla trasparenza. In questi anni a lui si sono rivolti pubblicamente soprattutto il Movimento e il Pd.

Fuori da confini italiani ci sono altre due figure istituzionali che possono essere chiamate come riserve della Repubblica. Mario Draghi è stato già molto evocato. Ieri a rilanciarlo è stato l’ex parlamentare e consigliere di amministrazione della Rai Giancarlo Mazzuca sul Giornale. Il capo della Bce sarebbe il garante dei nostri conti sui mercati nel momento in cui la situazione finisse nel mirino della speculazione. Antonio Tajani è il candidato premier di Forza Italia indicato in extremis da Berlusconi in campagna elettorale. Ma come via d’uscita alla crisi verrebbe chiamato da presidente dell’Europarlamento, anche a lui a garanzia dell’Italia presso le cancellerie europee (ha ottimi rapporti con Merkel, Macron e Rajoy) e presso Bruxelles. Sono ipotesi lontane dal confronto di queste ore, ma un governo è destinato a nascere anche se i tempi si allungano. L’idea di un ritorno alle urne immediato e con Paolo Gentiloni in carica per gli affari correnti sembra esclusa da molti, a cominciare dal capo dello Stato, colui che decide. Ecco perché il terzo nome, anche nella confusione di queste ore, è una pista da seguire.