Moscopoli, tutte le bugie di Salvini. La Procura ricostruisce i contatti con Savoini

Le conversazioni e i messaggi nel telefono che la Procura di Milano ha sequestrato al faccendiere confermano il dialogo con il ministro anche nei giorni del Metropol

ROMA – Il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha mentito e continua a mentire su Gianluca Savoini, uomo con cui comunicava al telefono con frequenza pressoché quotidiana. Perché questo documentano le parole di Conte al Senato e le prime evidenze che emergono dall’esame del telefono sequestrato dalla Procura di Milano a Savoini. Per altro, in un contesto, lo vedremo, dove il fantasma russo sollecita a rileggere anche siparietti come quello che vede il settantaseienne Al Bano Carrisi, la voce di Cellino San Marco, cantare nel novembre del 2018 per il centenario del Kgb, mentre l’Ucraina lo dichiarava “persona non gradita”, e, un mese dopo, al Viminale, esibirsi con Salvini, in un singolare duetto sulle note di Felicità e Nel Sole.

Con ordine.
Salvini ha mentito, dunque. Lo ha fatto una prima volta l’11 luglio scorso, escludendo la partecipazione del suo ventriloquo a Mosca nella delegazione ufficiale italiana in occasione degli incontri bilaterali con il ministero dell’interno russo (16 luglio 2018). Circostanza già smentita dall’evidenza di una foto scattata in quella occasione e ora annichilita dal premier Conte sulla scorta di documenti ufficiali prodotti dalla nostra ambasciata a Mosca. Ed è tornato a farlo una seconda volta, il 12 luglio, e di lì in avanti, accreditando il suo rapporto con Savoini come quello che si può avere con “un vecchio amico della Statale di Milano conosciuto 25 anni fa”. Una favoletta che fa a pugni con ciò che ora documentano la memoria delle chat whatsapp e i tabulati del telefono sequestrato a Savoini dalla Procura di Milano che lo indaga per corruzione internazionale. Non fosse altro perché i contatti telefonici tra Salvini e Savoini – secondo quanto riferiscono fonti inquirenti – hanno avuto una frequenza giornaliera in questo primo anno al Governo. E non fa eccezione quel 18 ottobre del 2018, quando il Vicepremier rientrò dalle sue trentasei ore di trasferta a Mosca per il convegno di Confindustria Russia, lasciando che Savoini, in veste di messo della Lega (anche questa un’evidenza emersa dalle chat del telefono), si accomodasse ai tavoli del Metropol per discutere della fornitura di petrolio di Rosneft su cui si doveva ritagliare un finanziamento per il partito.

Una Caporetto, insomma. Di fronte alla quale, tuttavia, Salvini va a una ennesima prova di forza che sfida, insieme all’intelligenza e al buon senso, lo stesso Presidente del Consiglio. In serata, infatti, sollecitato da Repubblica, il Viminale comunica ufficialmente e per iscritto che “Gianluca Savoini partecipò al vertice bilaterale di Mosca del 16 luglio del 2018 come semplice accompagnatore, conosciuto dalla controparte in virtù degli incontri organizzati in passato”. “Savoini – prosegue la comunicazione inviata a Repubblica – non era nella delegazione ufficiale del Ministero dell’Interno partita da Roma, né ha mai fatto parte di delegazioni ufficiali a Mosca, né il Viminale ha sostenuto in tutto o in parte le sue spesi di viaggio o di soggiorno in Russia”.

Un “semplice accompagnatore”. Nella trovata lessicale degli spin doctor di Salvini, ci dovrebbero essere una via di uscita alla menzogna, l’ennesimo aggiramento della domanda chiave – che diavolo ci stava a fare seduto al tavolo di quel bilaterale Savoini? – e, insieme, una perfidia per Palazzo Chigi e la Farnesina. Come Conte ha riferito in Senato, è stata infatti la nostra ambasciata a Mosca a riferire che, in quel 16 luglio del 2018, fu lei a trasmettere al ministero dell’Interno russo la composizione della delegazione italiana “su indicazione del protocollo del Viminale” e che “la delegazione ufficiale comprendeva anche il nominativo del signor Savoini”. E tuttavia, come è evidente, la trovata lessicale è una toppa peggiore del buco. L’11 e il 12 luglio (a Repubblica prima, attraverso la sua responsabile stampa, e in una conferenza a Milano dello stesso ministro dell’Interno poi), Salvini aveva infatti sostenuto di non avere la più pallida idea del perché si fosse ritrovato Savoini seduto al vertice bilaterale con i Russi. “Chiedetelo a lui”, aveva risposto. Arrivando persino a ipotizzare che quel suo “vecchio amico della Statale” lo avessero invitato i russi a sua insaputa. Una panzana, insomma. Anche in quest’ultima versione dell’accompagnatore.

Con tutta evidenza, il Vicepremier procede a tentoni. E la ragione è che teme ciò che potrebbe travolgerlo. Sapendo perfettamente che in ogni comparsata filorussa di questo ultimo anno si nasconde a questo punto un’insidia. Fosse anche il singolare duetto canoro a favore di social network in cui si esibì, il 21 dicembre del 2018, quando trovò il tempo di ricevere al Viminale Al Bano Carrisi, l’artista da anni folgorato da Putin.
Lo stesso Al Bano che il 7 giugno 2018 è a villa Abamelek, sede dell’ambasciata russa a Roma, tra gli ospiti di onore della Festa Nazionale russa in un parterre che, coincidenza vuole, vede insieme molte delle maschere di questa storia. Salvini, il suo consigliere a Palazzo Chigi Claudio D’Amico, Savoini, l’avvocato Meranda.

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