Mps, “Quali sono ora le prospettive?”

I casi relativi alle crisi di grandi imprese italiane di solito si trascinano per molti anni e sembrano non finire mai; somigliano in questo, ad esempio, ai racconti delle Mille ed una notte.

Per la verità, come nella favola, di solito, ma solo dopo molti anni, essi hanno un apparente lieto fine, che però a volte dopo un po’ salta e la crisi torna a turbare i sonni dei politici di turno, che nel frattempo sono quasi sempre cambiati, oltre che ovviamente dei lavoratori interessati.

Ora è il turno di Monte dei Paschi di Siena (che ha ancora ben 21.000 addetti, ma è sotto la minaccia di 7.000 esuberi), un caso che è un monumento al fallimento di un’intera classe dirigente.

Si può discutere da questo punto di vista se come indicatori di inettitudine nella propensione alla gestione dei fatti economici da parte dei politici del centro-sinistra siano stati più gravi gli accadimenti pluriennali della banca o a suo tempo la decisione delle privatizzazioni dell’Iri.

Da qualche parte si ricorda che, a suo tempo, in particolare nell’acquisto da parte di Mps della Antoveneta – decisione che precipitò la crisi ma non ne fu la sola causa-, furono implicati anche Mario Draghi, allora alla Banca d’Italia e l’attuale AD di Unicredit, Andrea Orcel, allora in Merryll Lynch, società coinvolta nell’operazione, raccomandandone la sua conclusione positiva.

Ma, come accennato, i nostri due più reputati banchieri non furono certo i soli ad aver collaborato allo scempio.

I principali attori del gioco sono ora in questo caso da una parte l’Unicredit, dall’altra il Governo, con sullo sfondo come convitato di pietra Bruxelles (la Commissione, l’Antitrust europeo) con da Francoforte la Bce e come attori pressochè impotenti i lavoratori della banca.

Dunque l’ipotesi di acquisto da parte di Unicredit è fallita, ma si ignora se le trattative riprenderanno in seguito. Sembra che la principale ragione del contendere fosse l’ammontare della dote, che Orcel, negoziatore molto duro e spregiudicato, avrebbe indicato in 7 miliardi di euro (importo quasi pari a quello degli sgravi fiscali che il governo ha promesso agli italiani), oltre a voler scaricare sul bilancio dello Stato altri balzelli di importo rilevante, contro un’offerta massima da parte del governo molto inferiore. Il colpo ad Orcel questa volta non è riuscito; ha tirato troppo la corda.

D’altro canto, non dobbiamo dispiacerci troppo dell’esito della trattative, se non per l’ulteriore incertezza che esso pone sui dipendenti; se esse fossero andate in porto il mercato bancario italiano sarebbe stato dominato pressochè interamente da due soli attori, con una concentrazione di potere inaccettabile.

Quali sono ora le prospettive? Si possono solo fare delle ipotesi. Sulla carta ci sarebbero apparentemente diverse possibili vie d’uscita.

Intanto il governo sembrerebbe costretto ad andare avanti per il momento da solo, mantenendo il controllo della banca, tra l’altro dovendo varare un consistente aumento di capitale –si parla di 3 miliardi di euro-, mentre dovrà chiedere a Bruxelles il permesso per allungare i tempi della cessione, previsti inizialmente al 31 dicembre 2021 come scadenza massima; del resto, ad impossibilia nemo tenetur, recita una delle regole del diritto.

Dopo di che, oltre alla difficile via di cercare di nuovo un accomodamento con Orcel, si potrebbe costruire arrivare a costruire un terzo polo privato, mettendo insieme altre banche, tra cui la Bpm e la Bper. Il presidente della Confindustria sembra a favore.

L’alternativa per noi più apprezzabile sarebbe quella di costituire finalmente un polo finanziario pubblico consistente, mettendo insieme Mps, Mediocredito Centrale, che controlla tra l’altro la Banca Popolare di Bari ed è posseduto da Invitalia, nonché le attività finanziarie della Cassa Depositi e Prestiti, che sono ormai molto rilevanti.

Ma non crediamo che Draghi e i suoi, da neoliberisti convinti, gradirebbero molto tale ipotesi; osterebbero inoltre la plausibile opposizione anche di Bruxelles e inoltre la pessima situazione dei conti di Mps (che potrebbero forse rivelarsi magari anche peggiori di quanto appaia al momento). D’altro canto, si sta facendo molto per devitalizzare la stessa Cassa.

Così alla fine si può immaginare (ma è solo un’ipotesi) che arriveranno al soccorso i soliti francesi, che conoscono ormai bene il nostro paese (controllano già una buona fetta della sua economia) e, da attori con una prospettiva plausibilmente più lunga di quella di Orcel, potrebbero trovare più facilmente un accordo sul prezzo.

Magari verrebbe lasciato qualche boccone in pasto al Mediocredito Centrale e alla città di Siena e dintorni. Ma tale soluzione si scontrerebbe con una forte opposizione politica e sindacale.

 

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