M5S, senza il Pd il piano è tornare al voto. D’intesa con la Lega.

L’arma finale se mancano i numeri: nuova legge elettorale con Salvini. Ma il leader spera nel ribaltone dem per far partire il suo governo
ROMA. “È presto”, ripete Luigi Di Maio a chi gli mette davanti i no del Pd alle offerte di dialogo del Movimento 5 stelle. “Aspettiamo – ripete il capo politico – vi ricordate quanto ci è voluto l’ultima volta?”. La guerra di logoramento è appena cominciata. E prevede anche un’arma da fine del mondo: “Se non ci faranno fare nulla, possiamo sempre votare una nuova legge elettorale insieme alla Lega e tornare alle urne. Continueremo a crescere. Di certo, è l’ultima cosa che vogliono”.

Non è questo, però, il tempo delle minacce. Questo è il tempo dell’attesa. La lettera a Repubblica dimostra la volontà di Luigi Di Maio di aprire una reale trattativa sul programma per un “governo di cambiamento” (per quanto la formula ricordi quello fatto fallire ai tempi del mandato esplorativo di Pier Luigi Bersani). I 5 stelle si ritrovano paradossalmente nella stessa situazione a parti invertite. Di Maio lo sa, ma vuole dimostrare che il Movimento è cambiato. Che è maturo. Che le sue istanze non vengono da un’astrusa ideologia coltivata in rete, ma dal viaggio fatto mettendosi in ascolto del Paese e delle sue esigenze. Per questo, ripete i punti su cui vorrebbe far convergere il centrosinistra: lotta alla povertà e agli sprechi della politica, immigrazione e sicurezza, meno tasse per le pmi (e non è un caso che il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia lanci segnali di apprezzamento).

Il piano A, quindi, tiene ferma la possibilità di offrire la presidenza della Camera a una figura di garanzia che attiri l’appoggio pd. I 5 stelle sono convinti che al Senato la spunterà invece il leghista Roberto Calderoli (Paola Taverna, cui era stato offerto il ruolo di capogruppo, si sta preparando per quello di vicepresidente). E considera anche l’ipotesi di rafforzare la squadra di governo con innesti dem (“Ci sono figure piuttosto deboli – racconta un deputato di peso – direi che alla candidata ministra dell’Interno possiamo rinunciare facilmente. E che Marco Minniti non ci dispiacerebbe affatto”).

Il piano B vede la presidenza della Camera a un 5 stelle e – appunto – una guerra di logoramento il cui esito finale potrebbe essere o la capitolazione del Pd (che estromette dai giochi Matteo Renzi) o un’intesa con la Lega sulla legge elettorale che rimandi il Paese al voto. Per la guida di Montecitorio – nonostante i rumors su Emilio Carelli – si sarebbe impuntato Roberto Fico. Cui Di Maio dovrà pur concedere qualcosa, ma che costituirebbe un problema vista la sua scarsa duttilità nel caso servisse fare un accordo col centrodestra.

Del piano C, quello di un governo del presidente con dentro tutti, i 5 stelle per ora non vogliono sentir parlare. Né pensano sia possibile, come diceva ieri l’economista della Lega Claudio Borghi, allearsi con tutto il centrodestra (“Fare un governo dove siamo in minoranza? Non è un’opzione). A cena alla pizzeria La Pariolina, lunedì sera, Beppe Grillo scherzava con gli amici mentre Davide Casaleggio, Luigi Di Maio e Roberto Fico (arrivato apposta da Napoli) si interrogavano sulla strategia. C’erano anche Riccardo Fraccaro, Paola Taverna, l’immancabile Pietro Dettori e – più tardi – il vicepresidente del Parlamento europeo Fabio Massimo Castaldo, che molto si sta muovendo per ritagliarsi un ruolo futuro. “Le dichiarazioni di Emiliano e dei suoi non bastano – ragionava il leader – bisogna tener d’occhio l’ala di Orlando e capire se hanno la forza di ribaltare la volontà di Renzi e delle truppe che si è portato in Parlamento”. L’idea lanciata dalla minoranza, di un referendum interno al Pd per decidere se accettare il dialogo con i 5 stelle, apre una breccia. Rafforzata dalle parole di Francesco Boccia, che ipotizza apertamento un appoggio esterno del Pd a un governo M5S.

“C’è un capo politico, chiedete a lui”, rispondeva ieri Grillo prima di ripartire. Il gioco è in mano a Di Maio, che ai suoi dice: “L’importante è restare granitici. Si sfalderanno loro”. E che anche per questo, ha convocato tutti i nuovi eletti venerdì a Roma. Neanche a dirlo, all’hotel Parco dei Principi.

Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/

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