di Massimo Franco
Lo sforzo che sta facendo il centrodestra per apparire compatto è vistoso e comprensibile. Dovrebbe servire a ridurre i danni di una campagna elettorale che ha messo in evidenza contrasti tra e nei partiti e candidature approssimative. All’ombra del conflitto tra Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi gli avversari hanno potuto velare i propri: al punto che Lega, FdI e FI sono obbligati a ripetere di essere uniti, pur presentandosi dovunque insieme. Al contrario, M5S e Pd parlano di alleanza sebbene divisi in quasi tutte le grandi città.
L’ulteriore paradosso è che questo potrebbe non influire molto sulle prospettive del partito di Enrico Letta, se si andrà ai ballottaggi. «Vedremo dai risultati se l’alleanza col M5S è stata positiva», avverte il segretario del Pd. Sente che le urne confermeranno il declino del grillismo, nonostante l’arrivo dell’ex premier Giuseppe Conte. E la diatriba tra chi persegue l’asse col M5S e chi invece opta per una strategia centrista potrebbe riaprirsi. Per ora si indovina solo una dispersione dei consensi grillini della quale un Pd tutt’altro che in salute spera di avvantaggiarsi: almeno in città come Roma e Bologna, a dispetto di scissioni con liste e candidati alternativi.
Ma è il clima nel centrodestra a essere più intossicato. Ieri è bastato il ritardo del volo di Giorgia Meloni a Milano per far nascere l’ennesima polemica con Salvini. La leader di FdI è arrivata un’ora dopo e il capo leghista era già andato via. E i due hanno faticato per evitare che l’episodio fosse strumentalizzato. È chiaro che M5S e Pd cercano di soffiare sul fuoco dei contrasti altrui. Il problema è che, se anche il centrodestra fosse unito, è penalizzato da candidature al ribasso.
Rischia così di intercettare solo in minima parte i voti dati in uscita dal movimento di Beppe Grillo. L’insistenza con la quale Conte cerca di smarcarsi dal M5S «storico» conferma la paura di essere coinvolto in una sconfitta pesante. Ma non è chiaro se gli basterà a evitare una resa dei conti negata in pubblico quanto prevista riservatamente. La sindaca uscente di Roma, la grillina Virginia Raggi, dice: «Conte è con me. Con lui vinciamo». I veri umori, però, sono diversi.
E Raggi aggiunge un tocco surreale quando rivela, in una capitale disastrata, che il suo rammarico è di non avere «posato la prima pietra della funivia di Casalotti», quartiere della periferia. In realtà, tutti sanno che il voto di domenica apre e non chiude la discussione sulle alleanze e i conflitti interni; e che determinante sarà il modo in cui si formeranno le alleanze per la successione di Sergio Mattarella al Quirinale, a gennaio del 2022. Mario Draghi osserva da Palazzo Chigi, per capire fino a quando le convulsioni dei partiti risparmieranno il suo governo.