La potenza fragile.

di Massimo Gaggi

Un pastore di anime più che il capo del governo più potente del Pianeta. Davanti al massacro più terrificante e vasto Donald Trump ha pregato, invocato Dio, chiesto benedizioni per le vittime, le loro famiglie e l’America. Misure per evitare che le stragi si ripetano e divengano sempre più cruente? Su questo nulla. Solo un sommesso «non esistono soluzioni facili». Ora è fin troppo semplice prendersela col presidente che, dopo aver alimentato rabbia e divisioni per usarle come combustibile politico, in un momento difficile invoca l’unità dell’America e propone l’amore come suo collante.

Candidato prediletto dalla Nra, la lobby Usa delle armi, Trump è di certo un leader poco adatto a fronteggiare la violenza endemica del Paese più armato al mondo (in media quasi un’arma da fuoco per ogni abitante, neonati compresi) e il più violento (record di omicidi). Ma il problema non nasce di certo con lui. Battaglie sono state combattute e perse da predecessori ben più impegnati, a cominciare da Barack Obama che ha vissuto per 18 volte il calvario della dolorosa impotenza davanti alle stragi, col Congresso che ha lasciato cadere nel vuoto tutti gli appelli e le proposte di legge.

E ieri, davanti a un massacro colossale e simbolico — Las Vegas, sede dell’annuale Shoot Show , è la capitale dell’America dal grilletto facile — anche Obama si è limitato a pregare ed esprimere solidarietà alle vittime. Quella di Trump è stata fin qui una presidenza tempestosa che, però, ha goduto di una sorta di luna di miele almeno su un fronte: quello della violenza interna. Nessuna strage insensata o a sfondo politico negli 11 mesi trascorsi dalla sua elezione: tragedie paragonabili al massacro della scuola elementare di Sandy Hook o a quelli di San Bernardino e Orlando. Ora per la prima volta un presidente che vuole apparire vincente in ogni circostanza deve confrontarsi con la realtà deprimente di un problema che pare insolubile: per arginarlo, oltre a limitare la vendita ulteriore di armi da guerra e caricatori di grandi capacità, bisognerebbe avere la volontà e la forza di requisire molti dei 300 milioni di fucili, mitra e pistole stipati nelle case degli americani. Trump non ci pensa di certo, ma come reagirà? Vuole davvero cavarsela con una preghiera? La diffusione di armi sempre più potenti, il deterioramento del tessuto sociale, la rabbia che lui stesso ha fomentato rischiano di rendere queste stragi sempre più frequenti e gravi: durante la presidenza di Clinton i massacri con più di otto vittime furono 4. Con Ronald Reagan e George Bush furono 5. Con Obama siamo saliti a 18. La Nra sostiene con grande faccia tosta che l’antidoto più efficace contro le stragi è la capacità di ogni cittadino di difendersi da solo (bidelli e professori armati nelle scuole). Per il resto si punta sul culto (condiviso da Trump) del Secondo emendamento della Costituzione interpretato come il diritto illimitato di ogni cittadino ad armarsi. A Las Vegas questo fronte è finito in una specie di «tempesta perfetta». Il killer, lontano dalla categorie attaccate dal presidente come possibili veicoli di terrorismo (immigrati, musulmani, minoranze etniche), sembra l’identikit dell’elettore trumpiano: bianco, anziano, arrabbiato. Ha sparato da lontano e dall’alto su gente che avrebbe avuto bisogno dell’antiaerea per difendersi. E ha potuto trasferire indisturbato un intero arsenale nella sua camera d’albergo. Nulla di illegale, visto che il Nevada è lo Stato che riconosce nel modo più illimitato la libertà di armarsi e che i divieti stabiliti dai casinò riguardano le sale da gioco, non gli hotel. Se volesse dare almeno un piccolo segnale, Trump potrebbe cominciare da qui. Ma la Nra è decisa a impedire ogni cambio di rotta, asserragliata nella sua città-santuario: Las Vegas dove, alla fiera delle armi, a gennaio, sono stati sparati ben mezzo milione di colpi.