Agli autonomisti la maggioranza in Catalogna.

I risultati delle elezioni in Catalogna sembrano premiare gli indipendentisti che naturalmente, in patria e a Bruxelles, dove il loro leader Carles Puigdemont si è rifugiato per evitare l’arresto, festeggiano e enfatizzano la portata del voto. I numeri giustificano solo in parte questa euforia perché se si guardano le cose in prospettiva il futuro è per lo meno incerto. Le tre forze indipendentiste che governavano la Generalitat prima degli avvenimenti di ottobre hanno di nuovo la maggioranza anche se perdono alcuni seggi, scendendo da 72 a 70 su un totale di 135. La lista Junts per Catalunya di Puigdemont si è attestata al 21,65 % dei voti con 34 seggi, Esquerra Republicana de Catalunya di Oriol Junqueras, ex vice presidente della Generalitat, in carcere con l’accusa di sedizione, raggiunge il 21,39%, con 32 seggi, mentre la lista Cup, degli indipendentisti di sinistra, si ferma al 4,45, in un forte calo che riduce a 4 i suoi seggi.  Gli indipendentisti hanno ottenuto dunque la maggioranza dei seggi raccogliendo circa il 48% dei voti, che sono sicuramente un forte segnale contro il centralismo, ma sono appena sufficienti per governare e decisamente pochi per una prospettiva di rottura con Madrid. Anche perché il partito più votato con il 25,37% risulta Ciudadanos, formazione decisamente unionista, che conquista 37 seggi, prosciugando i serbatoi del Partido popular di Rajoy, il grande sconfitto di queste elezioni, a cui andranno appena 3 seggi.

Il paradosso di queste elezioni è che nonostante un risultato chiaro anche se non netto, per l’insieme di condizioni che circondano il voto i vincitori (ammesso che lo siano effettivamente) si trovano ad interpretare il ruolo più difficile. Queste strane elezioni sono state caratterizzate da un’affluenza altissima e da una relativa tranquillità, dopo le tempeste d’autunno, nonostante molti leader siano ancora agli arresti e Carles Puigdemont resti rifugiato a Bruxelles. Il voto però sembra aprire una nuova fase di incertezza, piuttosto che chiuderla. L’idea della secessione dolce sembra naufragata nelle convulse giornate di ottobre insieme all’ipotesi che l’Europa possa essere il garante di una simile prospettiva. Anche se nessuno sembra prepararsi a uno scontro frontale, gli spazi di mediazione politica sono estremamente ristretti, come se i principali protagonisti fossero nell’impossibilità di andare avanti nella direzione scelta ma anche di riavvolgere il nastro e di ritornare sui propri passi. Se gli avversari ripeteranno le stesse mosse del recente passato, lo stallo è inevitabile.

 

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