La bottega di Fra Bartolomeo.

Personaggi A 500 anni dalla morte storia del pittore e frate domenicano del convento di San Marco Influenzò generazioni di artisti e dipinse il celebre ritratto di Savonarola, di cui fu fedele seguace.

Il 31 ottobre del 1517, in una piccola cella nel convento di San Marco si spegneva, a soli quarantaquattro anni, Bartolomeo di Paolo del Fattorino, al secolo noto come Fra Bartolomeo. Vasari racconta di come fosse «assiduo al lavoro, quieto e buono di natura et assai timorato di Dio, gli piaceva assai la vita quieta e fuggiva le pratiche viziose», tranne poi riportare che a stroncarlo prematuramente fosse stata una febbre durata diversi giorni, causata da un’indigestione di fichi, che aveva intaccato il suo corpo già malato ormai da qualche tempo. Certo è che – peccato di gola o no – di questo artista amatissimo dai suoi contemporanei, che influenzò un’intera generazione di pittori che dopo di lui dominarono la scena fiorentina con la «Maniera», da Andrea del Sarto a Rosso Fiorentino, resta una produzione di dipinti di straordinaria bellezza e invenzione. Oggi disseminati nelle più importanti collezioni del mondo, dal Louvre alla Thyssen-Bornemisza di Madrid, dall’Art Institut di Chicago al Metropolitan di New York, oltre che a Firenze, dove le sue opere si possono ammirare, tra gli altri, al Museo di San Marco, agli Uffizi, a Pitti e alla Galleria dell’Accademia. Per approfondire la figura di questo artista conosciuto più dagli specialisti che dal grande pubblico, la Provincia Romana di S. Caterina da Siena, il Museo di San Marco, l’Istituto Universitario Olandese di Storia dell’Arte e The Medici Archive Project, hanno organizzato un convegno di studi che si chiude oggi nel Museo di San Marco in occasione del cinquecentenario della sua morte.

Figlio di Paolo, un mulattiere originario del popolo di Soffignano nella Valle del Bisenzio (oggi Prato), Bartolomeo si trasferì a Firenze dove visse in una casa nei pressi di Porta San Pier Gattolini, oggi nota come Porta Romana. Fu da questo luogo che, come capitava a quel tempo, gli derivò il soprannome di Baccio della Porta con il quale lo troviamo citato nei documenti relativi alla prima parte della sua vita. All’età di dodici anni Baccio entrò nella bottega di uno dei più raffinati pittori fiorentini del tempo, Cosimo Rosselli, e qui, tra preparazioni e macine di colori, strinse un sodalizio destinato a durare nel tempo con un altro giovane e illustre collega, Mariotto Albertinelli. Nel corso del suo apprendistato, più che alle opere del maestro Baccio guardò a quelle di Piero di Cosimo, di dieci anni più vecchio di lui, il quale, anch’egli a bottega da Rosselli, stava per fama e finezza superando il maestro. Baccio e Mariotto abbandonarono presto la bottega di Rosselli per aprirne una propria che riscosse da subito un enorme successo. Nel 1500 prese la decisione di prendere i voti ed entrare nell’Ordine domenicano, ma la sua attività di pittore non si interruppe: al contrario, ebbe una forte crescita proprio quando, finito il noviziato e divenuto frate, aprì bottega nel convento di San Marco, facendo di questo luogo, già celebre per aver ospitato Beato Angelico, il centro nevralgico della produzione artistica della Firenze repubblicana. L’apparizione della Vergine a San Bernardo , una delle sue pale d’altare più affascinanti, custodita oggi agli Uffizi, ci racconta qualcosa del suo carattere e dell’orgoglio professionale che lo guidava. Commissionato da Bernardo del Bianco per la sua cappella privata nella Badia di Firenze, il dipinto non rispettò i termini contrattuali stipulati tra l’artista e il committente al momento della richiesta e presentati nel disegno preparatorio che Bartolomeo aveva sottoposto al vaglio del pagante prima di eseguire la tela. Al momento della consegna, infatti, Bernardo del Bianco si rifiutò di pagare la cifra di duecento ducati e ne propose ottanta, somma che l’artista rifiutò. La lite tra i due, che non riuscirono ad accordarsi nemmeno con l’intermediazione di due amici comuni come si usava nella Firenze di allora per i contenziosi di questo tipo, si protrasse a lungo e fu portata all’attenzione di due periti esterni dell’Arte dei Medici e degli Speziali, i quali, dopo lunghe ed estenuanti insistenze, riuscirono a far accettare a entrambi la somma di cento ducati. Tutto questo accadde tra l’imbarazzo generale dei frati che furono costretti a «comparire innanzi a uffici, Judici et corte per cagione di litigi con buonomini seculari per cose temporali». Si deve alla mano di Fra Bartolomeo anche il famosissimo ritratto di Girolamo Savonarola che ritrae di profilo il temuto ferrarese incappucciato. Bartolomeo fu tra gli artisti che più rimasero affascinati dalle prediche savonaroliane tanto che, come riportato dalle fonti, mise al rogo alcune delle proprie opere che ritraevano «uomini e donne ignude», e nell’affresco col Noli me tangere dipinto per il convento di Pian del Mugnone alle Caldine, ultima opera che dipinse prima di morire, inserì una citazione dal sapore savonaroliano, quasi un testamento spirituale. Vi si legge ancora oggi: «Inveni quem diliget anima mea».

 

Sabato 28 Ottobre 2017 Corriere Fiorentino.

www.corriere.it/