Il politologo Valbruzzi “Il Pd rischia ai ballottaggi, gli elettori 5 Stelle anti-Salvini guardano alla sinistra- sinistra”

MARIA CRISTINA CARRATÙ
Un’area geopolitica per la prima volta del tutto contendibile, e sui cui orientamenti elettorali è diventato molto difficile azzardare previsioni. Ma dove l’esito delle prossime amministrative, abbinate alle europee, offrirà decisive indicazioni anche sul futuro politico del paese e del governo giallo verde. Oltre che su quelli (separati o uniti, non si sa) del Pd e di Matteo Renzi. È lo scenario previsto per il 2019 da Marco Valbruzzi, politologo ed esperto di flussi elettorali dell’Istituto Cattaneo, che a partire da una rilettura delle politiche del 4 marzo 2018 prova a immaginare cosa potrebbe succedere in Toscana di qui a pochi mesi, sullo sfondo di un quadro nazionale ed europeo in rapida evoluzione.
Valbruzzi, dunque le prossime elezioni sanciranno il tramonto delle antiche certezze della red belt italiana?
«Le politiche del 2018 hanno rivoluzionato la geografia elettorale non solo toscana, e rappresentano uno spartiacque. La red belt, col suo voto stabile e prevedibile, è diventata ad altissima competitività. Mentre al centro nord è certo che prevarrà la Lega, e al sud il M5Stelle, in Toscana, epicentro della trasformazione, non si può sapere. Oltre tutto mai come questa volta le elezioni europee, in passato considerate marginali dagli elettori, avranno un peso politico, anche a livello locale».
In Toscana andranno al voto 35 Comuni sopra i 15 mila abitanti, di cui 33 guidati, come Firenze, dal centro sinistra. Un vantaggio per il Pd? difficile confermarle tutte.
D’altra parte, il centro sinistra, a differenza di Lega e 5stelle, a livello locale può ancora trarre vantaggio competitivo dalla competenza dei suoi amministratori, cosa che gli elettori apprezzano. È vero anche, però, che spesso la competenza è legata a percorsi politici lunghi e l’elettorato cerca invece volti nuovi».
Il ballottaggio favorisce o penalizza il centro sinistra?
«Lo penalizza. Il Pd tende a rifiutare alleanze e di solito fa il pieno al primo turno, andando difficilmente oltre al secondo, mentre il ballottaggio premia chi si apre, come il centro destra, o i 5 Stelle che raccolgono gli scontenti di tutte le aree».
A Firenze il sindaco Nardella è in già in campagna elettorale, mentre i suoi sfidanti, centro destra e 5Stelle, non hanno ancora un candidato: un segno di debolezza?
«Per il centro destra targato Lega e trainato da Salvini, il candidato locale avrà un’importanza molto relativa.
Diverso è il caso dei 5Stelle, la cui immagine nazionale si è un po’ appannata e che funziona meno come traino a livello locale. Anche per questo il centro destra potrebbe fare il pieno a Livorno, con probabili effetti anche sulle tensioni governative».
A Firenze, come altrove, a centro destra e 5Stelle conviene presentarsi uniti o separati al primo turno?
«Conviene misurare le rispettive forze restando separati al primo turno, spartendosi temi e compiti, per poi convergere al secondo nella spallata contro il comune nemico, il Pd, ovvero il ‘vecchio’ sistema di potere della regione. È il metodo che ha già portato alla vittoria a Pisa e Siena».
È un’illusione, per il Pd, in una ex regione rossa come la Toscana, sperare in un ritorno “a casa” di voti dai 5 Stelle “appannati”?
«Sì. Il declino dei 5 stelle è soprattutto nel nord, a favore della Lega, e in parte al sud, ma nelle regioni rosse è congelato al dato di marzo 2018. Inoltre contro i 5Stelle il Pd ha eretto un muro, e non potrà contare su un ritorno di voti da quell’area. Al Pd, l’elettorato pentastellato insofferente per l’alleanza con Salvini preferirebbe semmai la sinistra-sinistra».
Un dato che deporrebbe a favore della linea di Zingaretti, anziché di Renzi.
«Il centro sinistra può pensare di corteggiare una parte dell’elettorato 5 stelle solo offrendole una relazione nuova, in un campo molto più largo dell’attuale. Senza allargarsi tanto da far perdere il quadro di riferimento, a Firenze Nardella fa bene a promuovere il sostegno di liste civiche a largo raggio, anche se l’etichetta renziana lo penalizza nel rapporto con la sinistra. Sul fronte di destra, però, dovrà evitare a tutti i costi di confondersi col quadro concettuale e terminologico di Salvini».
Nella “resistenza” all’assalto sferrato il 4 marzo dal centro destra, ha giocato un ruolo, a Firenze, il Giglio magico targato Renzi?
«Sì, anche se oggi è a sua volta in crisi. Anche per il Giglio magico amministrative e europee del 2019 saranno un test di sopravvivenza, e insieme utile a capire dove andrà a parare Renzi, se cioè la sua area potrà o no darsi una prospettiva politica, e di che ampiezza».
Che idea si è fatto delle intenzioni dell’ex leader?
«Di sicuro è tutt’altro che fuori dai giochi. Ho idea che il suo obiettivo, in questo momento, sia di tenersi aperte tutte le opzioni, e intanto di mostrare agli italiani, e sopratutto al Pd, che il partito perde anche senza di lui. Ha fatto un passo indietro solo per capire come muoversi: se rientrare su un veicolo, il Pd, che gli appartiene ancora, o se creare un veicolo tutto suo, o se fare altro del tutto. Quel che è certo è che la sua carica populista si è esaurita con le europee del 2014, e che oggi ben difficilmente una sua area personale andrebbe oltre il 10%. Diverso sarebbe se ragionasse in termini di un centro sinistra spacchettato: con lui nel ruolo del centrista alla Macron, il resto del Pd impegnato a reinglobare i fuorusciti, e ognuno che alle europee fa il suo gioco. Per poi decidere come ricombinarsi dopo le elezioni. Una road map molto più convincente che logorarsi dentro il Partito democratico».
Fonte: La Repubblica Firenze, https://firenze.repubblica.it/