La crisi in Toscana

Sono a rischio 117 mila posti di lavoro in 15 mila imprese più vulnerabili Caro energia e guerra in Ucraina: l’analisi
di Stefano Casini Benvenuti
Secondo Irpet sono oltre 15 mila le imprese che — qualora l’attuale caro energia permanesse per tutto l’anno — potrebbero trovarsi in una situazione di preoccupante vulnerabilità e sarebbero quindi a rischio, coinvolgendo oltre 117 mila lavoratori: cioè, il 4,8% delle imprese ed il 10,7% dei lavoratori del settore privato. In alcuni settori i lavoratori a rischio supererebbero il 30% ( nei trasporti e nella carta), in altri sono sopra il 20% (gomma e plastica, lavorazione del legno, vetro, minerali non metalliferi). Ma pesantemente coinvolto è anche il commercio, gli alberghi e la ristorazione, le attività ricreative, settori questi ultimi già duramente colpiti dagli effetti del Covid.
Ciò è la conseguenza del fatto che, sempre secondo le due accurate note dell’Irpet, un prolungato caro energia comporterebbe, in media, un aggravio di costo di 25 mila euro per impresa ( in tutto quindi quasi 8 miliardi di euro), con il rischio di passare da un margine operativo lordo positivo ad uno negativo; si genererebbe, quindi, una situazione di rischio che, in alcuni casi, si sommerebbe a quella vissuta nel periodo del Covid compromettendone in parte la capacità di tenuta.
Per le famiglie il costo dell’energia (luce, gas e carburante) aumenterebbe in media di oltre 1.700 euro, per cui l’incidenza sul reddito disponibile — che era, prima dei rincari, mediamente dell’8,3% — salirebbe al 12,8%, ma per le famiglie più povere passerebbe dal 18,9 al 31% portando alcune di esse sotto la soglia di povertà, accentuando gravemente quel fenomeno della povertà energetica di cui forse si è parlato troppo poco in passato.
Naturalmente si tratta solo di rischi potenziali: molto dipenderà dalla effettiva evoluzione dei prezzi nel corso dell’anno, dalla capacità di resistenza delle imprese, dalla volontà del governo di intervenire per difenderle e per difendere i lavoratori. È infatti evidente che il nostro sistema produttivo non può permettersi ulteriori ridimensionamenti dopo quelli già avvenuti nei mesi passati.
Allo stesso tempo però non sono da sottovalutare gli altri effetti della crisi russo- ucraina. Le misure di ritorsione sulla Russia produrranno effetti sugli scambi commerciali direttamente verso quel paese, ma indirettamente verso tutti gli altri. Nel complesso si tratterebbe dello 0,6% del Pil toscano, ma con una esposizione maggiore dell’industria dei macchinari e soprattutto di alcune imprese, visto che la metà delle esportazioni verso la Russia è fatta solo da 30 aziende. Più gravi invece gli effetti dell’eventuale blocco delle importazioni perché alcuni settori dipendono dagli approvvigionamenti dalla Russia ( logistica, utilities, ma anche agrolimentare).
Sommando tutti questi effetti il risultato potrebbe essere quello di un ritorno ad una situazione di stagnazione dell’economia, anzi di stagflazione vista la significativa ripresa dell’inflazione. Ciò è preoccupante perché nonostante l’euforia conseguente alla ripresa del 2021, a fine anno il Pil era ancora sotto i livelli non solo del 2019, ma addirittura sotto quelli del 2017 con riduzioni particolarmente rilevanti in alcuni settori (tra tutti gli alloggi e la ristorazione, le attività ricreative e culturali).
Ciò che deve preoccupare, oltre ai rischi connessi con l’evoluzione della situazione bellica, è il fatto che in alcuni casi siamo di fronte a settori che soffrono da lungo tempo e quindi meno capaci di reggere una prolungata difficoltà. Inoltre, visto che gli effetti saranno diversamente distribuiti tra le famiglie e le imprese, il rischio è l’ulteriore aumento delle disuguaglianze con evidenti conseguenze sulla tenuta sociale del sistema.
https://firenze.repubblica.it