IL MINISTRO SOTTOBRACCIO ALLA MALAVITA

Mario Calabresi
Ci sono cose su cui dovrebbe essere difficile dividersi, su cui libertari e uomini d’ordine, garantisti e giustizialisti dovrebbero pensarla allo stesso modo: un ministro dell’Interno non può permettersi di andare sottobraccio a un condannato (appena uscito di prigione dopo aver patteggiato un anno e mezzo per traffico di droga), noto per le sue violenze e le frequentazioni con ambienti malavitosi. Nemmeno nascondendosi dietro la comune fede calcistica, quasi ad accreditare l’idea che il tifo ultrà non debba sottostare alle leggi. Dovrebbe capire che è incompatibile con la sua permanenza sulla poltrona del Viminale. E se quel ministro, responsabile dell’ordine pubblico e della sicurezza italiana, si giustifica dicendo «sono un indagato tra gli indagati» dovrebbe davvero vergognarsi.
Sarebbe troppo facile ricordare cosa dice degli spacciatori nordafricani, dei violenti stranieri, (così come degli stranieri che non delinquono ma cercano una vita migliore), ma se sono italiani allora sono «dei nostri» e vanno benissimo anche se spacciano e sono violenti e pregiudicati.
Dietro una condanna come quella del capo ultrà del Milan, c’è il lavoro di poliziotti e magistrati che cercano di fare le cose bene, di difendere la collettività, gente che rischia la vita e che la divisa o il giubbotto con la scritta polizia li mette tutti i giorni e non solo quando si tratta di fare un selfie o una pagliacciata di fronte alle telecamere. Ma Matteo Salvini non si tira indietro e delle cattive frequentazioni ne fa un vanto, servono a dare un’idea di forza, come fanno certi leader politici dei Balcani e dell’Est Europa. Quella forza che si evoca per passare con la ruspa sopra ai diritti e ai nuovi nemici.
Peccato che alla fine le macerie siano quelle delle Istituzioni, delle regole e del buon senso.
Fonte: La Repubblica, https://www.repubblica.it/