Tele Mattei

Il sogno di un’Italia potenza petrolifera

Scende la sera sul deserto. Il sole è un cerchio di fuoco rosso che arde sopra le dune in una scenografia di luce violenta. Mattei in compagnia del suo cane nero a sei zampe rimane sbalordito dallo splendore assoluto di quel tramonto. Poi il sole scompare sprofondando nella terra, e l’orizzonte inizia a sfumare in tonalità di blu, via via più scuro in altezza, fino a diventare zaffiro stellato. La volta celeste brilla di un’infinità di stelle, la notte si compie con un firmamento di un miliardo di diamanti.

Sublime, Enrico Mattei si ferma sulla cresta di una duna ad ammirare il grande spettacolo; nemmeno sulle montagne del Trentino, quando scappava da tutto e da tutti, aveva visto un cielo più bello. Una grossa stella cadente disegna una linea lucente davanti al suo sguardo quasi fosse una cometa. Enrico chiude gli occhi per un istante ed esprime un desiderio. I desideri espressi davanti alle stelle cadenti non devono essere detti, altrimenti non si esaudiscono. Ma noi sappiamo che quel suo desiderio non verrà mai esaudito, e allora lo confessiamo perché sappiamo di non nuocere ad alcuno: Enrico Mattei esprime il desiderio di portare a termine la propria opera, e di vedere un giorno la totale indipendenza energetica dell’Italia, e ammirare la nostra Patria grande, potente, e rispettata da tutte le altre nazioni del mondo. Illusione di una notte stellata nel mezzo di un deserto sconosciuto.

Perso tra i suoi pensieri, l’uomo nota che sul fianco della duna dove si è fermato c’è qualcosa di molto strano. Beh, non sarebbe di certo la prima volta che in questo luogo appaiono cose grottesche e personaggi bizzarri. Mattei e il suo cane scendono a passi ampi dalla cresta della duna, si avvicinano a quelle ombre per capire cosa sono. Il mistero è presto svelato, perché la luce delle stelle che pulsano in cielo è sufficiente a distinguere gli oggetti sulla sabbia. C’è un tappeto in terra, e sul tappeto una poltrona da salotto di design italiano, una libreria e un tavolino su cui è poggiato un modernissimo televisore milanese marca Radio Vega del 1962. Nella libreria è impilata una fila di trenta volumi rilegati in bianco, che portano sul dorso date in oro. L’uomo ne prende uno, e lo sfoglia: quella collezione è una raccolta di articoli denigratori contro di lui, di critiche feroci, di vignette satiriche, di attacchi personali a mezzo stampa, di esplicite minacce che il presidente dell’ENI ha voluto conservare e riunire per ricordarsi della sua lunga battaglia. Mattei ripone il libro, rivolge l’attenzione verso il televisore e preme il bottone per accendere la scatola delle meraviglie che ipnotizza gli italiani del boom economico.

Nello studio televisivo ripreso dalle telecamere, c’è il presidente ENI in persona. Sono spezzoni di più interventi in momenti diversi. A Mattei fa un certo effetto vedersi e ascoltarsi.

Intervistatore:

«In che modo è riuscito a fare dell’Ente Nazionale Idrocarburi, in un tempo relativamente così breve, una delle imprese più importanti non solo d’Italia, ma di tutta l’Europa Occidentale?».

Mattei:

«In primo luogo, sviluppando una vigorosa azione competitiva, le aziende dell’ENI, infatti, pur essendo controllate da un organismo appartenente allo Stato, operano sul mercato come le imprese private. In secondo luogo, cercando di adottare idee nuove, liberandoci dalla falsa convinzione, inculcataci da ragazzi, secondo cui noi italiani saremmo dei buoni letterati, buoni poeti, buoni pittori, buoni musicanti, ma non avremmo la mentalità necessaria alla creazione di grandi organizzazioni industriali».

Intervistatore:

«Quali sono attualmente i suoi obiettivi?».

Mattei:

«Desideriamo fornire al Paese le fonti di energia al prezzo più basso possibile. Oggi noi abbiamo le moderne fonti di energia a prezzi che sono i più bassi di tutta l’Europa. Abbiamo in Italia il metano, che costa il 50% meno che in Francia, ancora meno del 50% che in Germania e che alimenta duemila industrie nella Valle Padana».

Intervistatore:

«Potrebbe illustrarmi i suoi problemi con le compagnie petrolifere occidentali?».

Mattei:

«Il vero problema che si pone fra noi e le compagnie internazionali è che noi oggi conosciamo l’industria e il mercato del petrolio, la tecnica, i dati di costo e così via. Quando ci si dice che l’Occidente deve essere unito, per criticare l’azione dell’ENI diretta a limitare il controllo oligopolistico delle grandi compagnie petrolifere, la risposta è che tutti devono dare prova di solidarietà. Mi sembra assurdo che in ragione di questa solidarietà ci si chieda di pagare per il petrolio dei prezzi che consentono di realizzare degli extraprofitti dell’ordine del 40% sui prezzi di vendita. Noi non possiamo continuare a pagare dei prezzi così elevati, perché ciò impedirebbe il nostro sviluppo e le nostre possibilità di espansione, frenando il processo di industrializzazione del nostro Paese».

Intervistatore:

«Lei è stato accusato dagli Stati Uniti di contribuire all’obiettivo sovietico di sconvolgere i prezzi mondiali del petrolio acquistando petrolio a prezzi inferiori al normale. Non ritenete pericoloso affidarvi sempre di più agli approvvigionamenti di petrolio sovietico? I suoi critici sostengono anche che lei stia facilitando, per mezzo dei suoi acquisti di petrolio sovietico, la penetrazione sovietica in senso più generale nel mondo occidentale».

Mattei:

«L’accusa è ingiusta. L’Italia è un Paese forte consumatore ed è giusto che acquisti il petrolio dove lo paga meno. Se gli altri produttori si preoccupano di ciò, hanno nelle loro mani il mezzo per evitarlo: diminuiscano i loro prezzi. Abbiamo comperato dall’Unione Sovietica 12 milioni di tonnellate di petrolio per circa 100 milioni di dollari e abbiamo dato in cambio 100 milioni di dollari di gomma sintetica, impianti petrolchimici, stazioni di pompaggio per il petrolio negli oleodotti e via di seguito. Abbiamo comperato ad un prezzo che non è inferiore a quello praticatoci da alcune compagnie, però con il vantaggio che non abbiamo dovuto sborsare divise estere, ma abbiamo potuto pagare con i prodotti del nostro lavoro. Con questo sistema eliminiamo gli intermediari. Intermediari un po’ cari nel caso delle compagnie internazionali, che trattengono profitti dell’ordine del 40%, che non intendiamo più pagare. Sulla parte destinata ai Paesi produttori non abbiamo nulla da dire, in quanto si tratta di Paesi che hanno necessità di realizzare queste entrate, essenziali al loro sviluppo economico. Quello che non intendiamo più riconoscere e pagare è il 40% di utili delle grandi compagnie internazionali. È questo il punto di dissenso. Anche noi, come loro, apparteniamo all’Occidente e se per difenderlo è necessario sopportare dei sacrifici, questi bisogna che li sopportiamo insieme. Il pretendere che siano solo nostri è assurdo e noi ci rifiutiamo di sottostare ad una simile pretesa. Certe compagnie occidentali devono rendersi conto che non possono più sfuggire alla concorrenza: occorre che accettino di operare su un piano competitivo. Vede, le compagnie internazionali erano abituate a considerare i mercati di consumo come riserve di caccia per la loro politica monopolistica e noi abbiamo cominciato a rompere questo sistema, perché ci siamo messi al di fuori di queste grandi compagnie, di questo grande cartello. Io alla fine del 1959 fui invitato ad incontrarmi con uno dei sette grandi, uno dei più grandi, con un bilancio che è quasi pari al bilancio dello Stato italiano …».

Intervistatore:

«Una delle Sette Sorelle? La maggiore?».

Mattei:

«Una delle Sette Sorelle, perfettamente… non si può dire che è la maggiore, ce ne sono due che sono tutte e due le maggiori… ci andai per vedere di stabilire dei rapporti di collaborazione. Erano i primi del dicembre 1959 ed io andai a Montecarlo, che era il luogo dell’incontro, ed incominciammo a parlare. Tutta la collaborazione offerta da questo illustre capo riguardava l’Italia: tenere più alti i prezzi, guadagniamo tutti di più. Proprio il contrario di quello che devo fare io che sono l’esponente dell’Azienda dello Stato. Io debbo cercare di dare al consumatore tutto quello che è possibile.

Io gli dissi: “Ma io credo che in Italia abbiate finito di fare una politica vostra, che da adesso in avanti la faremo noi. Ora io penso che qui è difficile poterci incontrare; in Italia siamo noi che faremo una politica, saremo noi a stabilire quello che si dovrà fare nell’interesse del nostro Paese. Piuttosto vediamo un po’ la Svizzera, la Germania: noi stiamo costruendo un oleodotto, una grande arteria per l’approvvigionamento dei mercati dell’Europa centrale che dovrà fare di Genova il più grande emporio europeo del petrolio. Noi trasporteremo quantitativi di petrolio nella Valle Padana, in Svizzera, in Germania. Avete interesse che vi trasportiamo del petrolio? Voi non avete raffinerie lì, non avete niente.”

Mi rispose: “Noi cammineremo da soli”. Poi mi disse: “che cosa vuol fare in Tunisia?”. “In Tunisia”, risposi, “noi vogliamo costruire una raffineria”. E lui mi disse: “Voi non farete la raffineria perché la faremo noi, noi con una delle altre grandi società del cartello, un’altra delle Sette Sorelle”. Ed io molto umilmente gli chiesi: “Che cosa ne penserebbe se invece di farla in due la facessimo in tre?”. Disse: “No”. Allora io tirai fuori dalla tasca la matita, avevo altri documenti da discutere, lo guardai, li cancellai e gli dissi: “Ho l’impressione che non abbiamo più nulla da dirci, però lei il colloquio di oggi se lo ricorderà per tutta la vita. Perché noi siamo poveri, abbiamo bisogno di lavorare e non possiamo più andare all’estero come dei poveri emigranti che non hanno altra forza che le proprie braccia. Anche noi vogliamo andare fuori come imprenditori, con l’assistenza tecnica e con tutto quello che un Paese moderno come il nostro oggi può dare”. A questo punto ci lasciammo e al giovane ingegnere che mi accompagnava io dissi: “Se lo ricordi, ha visto che egoismo terribile, se lo ricordi per tutta la vita”. In quel momento cominciò per la Tunisia, come era già successo in Marocco, nel Ghana, nel Sudan, una lotta terribile, senza esclusione di colpi. Dall’altra parte ho visto insieme società inglesi, americane, francesi, olandesi, belghe tutte unite contro di noi. Due volte credetti di aver perduto, poi ripresi le forze ed infine abbiamo vinto. Perché abbiamo vinto? Perché abbiamo fatto delle condizioni che sono molto più umane, perché facciamo un’associazione al 50% con l’altro Paese che in tal modo partecipa al lavoro in casa propria. In questi Paesi noi non entriamo più come degli estranei, e tutto ciò porterà naturalmente dei vantaggi al nostro Paese, nella collaborazione economica e politica».

Intervistatore:

«Quale è la sua principale ambizione nella vita?».

Mattei:

«La mia principale ambizione è di dare all’Italia le fonti di energia di cui ha bisogno al prezzo più conveniente. Fino a poco tempo fa, il nostro Paese era svantaggiato dalla necessità di importare il carbone ad alto prezzo; il prezzo del carbone nel porto di Genova era doppio di quello praticato in Germania, in Francia, nel Belgio. La situazione è mutata da quando il petrolio ha cominciato a sostituirsi al carbone: le più importanti fonti dell’approvvigionamento di petrolio sono più vicine all’Italia che agli altri Paesi dell’Europa occidentale. Inoltre, grazie all’Ente Nazionale Idrocarburi, l’Italia sta riuscendo a fare a meno di intermediari, che sono causa di aumento dei prezzi, e a stabilire relazioni dirette con i Paesi produttori. Il nostro sforzo si svolge in due direzioni: a) Sviluppare la nostra produzione interna b) Cercare nuove fonti all’estero

Vogliamo mettere a disposizione dell’industria petrolio e gas naturale a buon mercato, per rendere sempre più competitiva la nostra economia e per aumentare le possibilità di occupazione. Vogliamo dare prosperità e benessere al nostro popolo, ed eliminare il divario esistente tra le classi sociali e tra le regioni. Vogliamo fare dell’Italia una potenza petrolifera, questa è la mia vera ambizione».

Intervistatore:

«Quale tipo di società auspica per l’Italia?».

Mattei:

«Una società che goda di una maggiore prosperità. Solo nell’ultimo decennio abbiamo cominciato a conoscere la cosiddetta civiltà del benessere. Non vogliamo però che la corsa alla moltiplicazione dei consumi cancelli le nostre tradizioni, l’individualismo dei gusti, il nostro modo di vita».

Intervistatore:

«Lei si definisce un socialista?».

Mattei:

«Per quanto mi riguarda posso dirle quello che penso e quello che faccio: tiri lei la conclusione. Io sono per un’Italia più prospera, con un reddito più elevato in complesso e per abitante, meglio distribuito fra le classi sociali e le regioni del Paese; credo nella funzione dello Stato in tutte le forme per raggiungere questi obiettivi; lavoro per dare all’Italia fonti di energia a buon mercato, condizione fondamentale dello sviluppo economico, e per procurare direttamente la fonte principale, il petrolio, senza dover dipendere da intermediari che godono di posizione di oligopolio e che fanno pesare sui consumatori; credo nella pace internazionale e nella necessità a tal fine di sempre più ampi rapporti economici fra tutti gli Stati, e nella necessità che i Paesi industrializzati cooperino allo sviluppo dei Paesi economicamente meno progrediti».

Enrico Mattei spegne il televisore. Riflette sulle parole: fare dell’Italia una potenza petrolifera. Una missione che richiede un impegno sovraumano in una strada colma di pericoli e ostacoli, ma è un obiettivo che si può e si deve raggiungere.

Mattei alza di nuovo lo sguardo verso il cielo stellato. Si concentra su una piccola porzione del firmamento. Gli sembra che nove stelle siano disposte come nove puntini che se uniti vanno a formare una lettera: la costellazione M; M di Mattei; è di certo una visione da megalomani edegocentrici, ma il nostro Mattei è megalomane ed egocentrico. Ha tendenze napoleoniche, è persona molto suscettibile e autocratica. Seppure ci appaiano essere dei difetti, non possiamo non tenere a mente di chi stiamo narrando la biografia, perché egli è senza dubbio uno di quegli uomini che in Italia nascono una volta ogni cent’anni, rari. Certamente il nostro condottiero energetico è carico di un’ambizione smisurata che mira a rendere grande l’Italia tramite il petrolio e dunque rendere gloriosa la sua opera in tal senso, e quindi vuole donare a sé stesso un’importanza storica, ma potrebbe essere altrimenti? Senza ambizione smisurata, megalomania ed egocentrismo Mattei non sarebbe Mattei e l’ENI non esisterebbe. I cavalli di razza meritano il proprio posto nella Storia, i purosangue devono poter correre.

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