Il day after del referendum in Lombardia e Veneto.

di Davide Ragone

Domenica 22 ottobre si sono celebrati in Lombardia e Veneto due referendum consultivi, che sulla base del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione hanno chiesto ai cittadini se volessero «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» rispetto allo Stato centrale. I promotori della consultazione sono stati i due presidenti di regione, appartenenti entrambi alla Lega Nord, che, da un lato, hanno cercato di riportare la “questione settentrionale” a essere la priorità politica del loro partito rispetto a istanze più di carattere nazionale e, dall’altro, hanno almeno all’apparenza abbandonato le velleità secessioniste per portare il conflitto definitivamente dentro il perimetro costituzionale dell’autonomia nel rispetto del principio di unità e indivisibilità della Repubblica italiana (pur dovendo ricordare che uno dei quesiti proposti dal Veneto, bocciati dalla Consulta con sentenza 118/2015, riguardava l’indipendenza di un’ipotetica Repubblica veneta). In Veneto il referendum è stato un successo per gli autonomisti: il quorum del 50%+1 degli aventi diritto è stato superato già alle ore 19 (57,2% finale) con il 98% di SÌ (superiori alla maggioranza assoluta degli elettori). In Lombardia, dove non era previsto quorum, ha votato il 38,3% (in provincia di Milano il dato più basso) con il 95% dei SÌ.

Come hanno risposto i governi regionali?

I due referendum, in quanto consultivi, non sono giuridicamente vincolanti e non erano necessari per avviare la trattativa con lo Stato per avere più competenze (l’Emilia-Romagna ha già avviato la procedura senza questo passaggio), ma è chiaro che vi sono forti conseguenze politiche e istituzionali.

Già nella giornata di ieri, a poche ore dall’esito favorevole del referendum, la Giunta regionale del Veneto si è riunita in seduta straordinaria e ha approvato all’unanimità un disegno di legge da trasmettere al Parlamento in cui, in attuazione dell’articolo 116, comma 3 della Costituzione, si chiede l’attribuzione delle 23 materie dell’autonomia e, in aggiunta, la possibilità di trattenere i nove decimi del gettito fiscale di IRPEF, IRES e IVA. La Giunta ha anche approvato un secondo brevissimo disegno di legge, che sollecita il Parlamento a una riforma costituzionale, volta a riconoscere il Veneto come regione a statuto speciale. La Giunta ha, infine, deliberato la costituzione della “Consulta del Veneto per l’autonomia”, dove siederanno soggetti rappresentativi degli enti locali, del mondo del lavoro e della società civile per partecipare al dibattito sui contenuti del disegno di legge. L’iter prevede un successivo via libera da parte della Giunta di un testo eventualmente emendato (anche sulla base degli elementi emersi nella Consulta) e poi l’approvazione da parte del Consiglio regionale, che, avendo partecipato alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto, è tenuto ex articolo 27, comma 2, dello Statuto a esaminare l’argomento entro novanta giorni dalla proclamazione dei risultati e a motivare le decisioni eventualmente adottate in difformità.

Gli organismi della regione Lombardia avvieranno un percorso di consultazioni con amministratori e portatori di interessi per approvare entro un paio di settimane una risoluzione che definisca l’oggetto della trattativa con lo Stato, riguardante, comunque, le 23 competenze, che possono essere trasferite (in particolare, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario).

Come sarà la trattativa tra Stato e Regioni?

Il governo nazionale ha preso atto dell’esito delle consultazioni e si è detto disponibile a discutere le richieste regionali, purché siano costituzionalmente ricevibili e possano, quindi, essere oggetto di una intesa. L’articolo 116 della Costituzione recita al terzo comma che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono concernere soltanto le 20 materie in regime di legislazione concorrente (ex articolo 117, terzo comma, della Costituzione) e 3 materie in regime di legislazione esclusiva dello Stato (organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali). Non vi sono, dunque, margini per discutere una diversa ripartizione delle entrate fiscali e il residuo fiscale, cioè la differenza fra le tasse versate dai cittadini e il ritorno in termini di spesa per servizi sul territorio, è destinato a rimanere immutato.

I tempi appaiono stretti se si spera di arrivare a un risultato già in questa legislatura che volge al termine: una volta raggiunta l’intesa tra lo Stato e la regione interessata, la legge deve, infatti, essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti. Inoltre, la richiesta di attribuzione di tutte le materie rischia di rallentare l’iter rispetto a una domanda più circostanziata e limitata ad ambiti precisi, dove la regione può più agevolmente dimostrare di saper fare meglio dello Stato. L’Emilia Romagna ha scelto questa strada: niente referendum e richiesta diretta di attribuzione di 5 competenze al momento concorrenti… e se alla fine si rivelasse questo il modello di trattativa vincente?