Il burbero della Costituente.

Anniversari Eminente giurista, eccellente scrittore, inguaribile polemista: Calamandrei fu tutto questoA settant’anni dall’approvazione della Costituzione, un ricordo del fiorentino che contribuì a scriverla.

Soprattutto nella nostra Toscana, popolata da caratterini ma, vivaddio, ricchi d’ingegno. Basti fare i nomi di Giovanni Papini, di Ardengo Soffici, del mezzo toscano Giuseppe Prezzolini. Ecco, Piero Calamandrei è anche lui figlio di questa felice stagione. Pure lui poliedrico. Perché eminente studioso di diritto processuale civile ma anche — direbbe l’ecumenico Walter Veltroni, che come i fiumicelli carsici appare e scompare di continuo — di diritto costituzionale e dintorni.

Ma Calamandrei è stato molte altre cose ancora. È stato un fantastico scrittore. Ha scritto perfino per i bambini. È splendido il libriccino intitolato La burla di primavera con altre fiabe . È struggente il suo Inventario della casa di campagna , concepito nei mesi nei quali riparò in Umbria dopo l’Armistizio. È celeberrimo il suo Elogio dei giudici, scritto da un avvocato , un’opera che tutti gli operatori del diritto dovrebbero tenere sul comodino. E non staremo a rammentare i suoi tanti scritti e discorsi politici, le sue battaglie contro la legge elettorale maggioritaria del 1953, squalificata da Giancarlo Pajetta come legge truffa. E delle successive leggi elettorali si potrebbe dire che la più pulita ha la rogna. Poi c’è il fondatore e direttore del «Ponte», una passerella tra sordi incapaci di dialogo. Dove l’inguaribile polemista salta sempre fuori.

La nostra Costituzione repubblicana il prossimo 1 gennaio compirà settant’anni tondi. Perciò merita un particolare ricordo il Calamandrei membro dell’Assemblea costituente. Non ho mai capito perché questo bastian contrario al pari di Gino Bartali passi per uno dei principali padri della nostra Legge fondamentale. Niente di più falso. Almeno per quanto concerne i lavori preparatori. A onor del vero, lui è passato alla Storia come la suocera della Costituzione. Perché non gli andava mai bene nulla. Intendiamoci, era in buona compagnia.

Arturo Carlo Jemolo sostenne che da un punto di vista stilistico era di gran lunga migliore lo Statuto albertino. Concepito da pochi padri, i ministri di Carlo Alberto. Composto da appena 84 articoli, la maggior parte dei quali formata da pochi commi stringati. E che per la sua sobrietà poteva essere compreso dal quidam de populo . Mentre la nuova Carta repubblicana… E giù critiche a non finire.

Bene, per farsi un’idea del Calamandrei costituente, basterà sottolineare qualche passo del suo discorso pronunciato nella seduta del 4 marzo 1947, in occasione della discussione generale del progetto di Costituzione. Fin dal suo incipit, ha da ridire: «Onorevoli colleghi, parlare in quest’aula con quei banchi vuoti dà un senso di disagio». E giù botte da orbi. Il progetto di Costituzione «non è un esempio di bello scrivere», «si sente che non è stato scritto da Ugo Foscolo». Poi vennero i ricostituenti Calderoli e la Boschi, due buchi nell’acqua. «È una Costituzione tripartitica, di compromesso, molto aderente alle contingenze politiche dell’oggi e del prossimo domani: e quindi poco lungimirante».

«È un po’ successo, agli articoli di questa Costituzione, quello che si dice avvenisse a quel libertino di mezza età, che aveva i capelli grigi e aveva due amanti, una giovane e una vecchia: la giovane gli strappava i capelli bianchi e la vecchia gli strappava i capelli neri; e lui rimase calvo. Nella Costituzione ci sono alcuni articoli che sono rimasti calvi». Più chiaro di così! Se poi dallo stile e dal metodo si passa al merito, è peggio che andar di notte. Nulla gli va bene. Soprattutto la forma di governo parlamentare disegnata dalla Costituzione. Tanto più che il famoso ordine del giorno Perassi, che escludeva la forma assembleare e auspicava dispositivi idonei a garantire la stabilità ministeriale, ha fatto cilecca. Perché non era interesse di nessuno concedere troppe prerogative al Potere esecutivo, non sapendo come sarebbe andata a finire. E prima di Randolfo Pacciardi, di Giorgio Almirante, di Bettino Craxi, ma dopo Léon Blum, Calamandrei avrebbe voluto una Repubblica presidenziale alla statunitense o magari semipresidenziale come sarà la Quinta Repubblica francese. Certo, in seguito stempererà queste critiche, e si batterà per la piena attuazione della Costituzione.

E che dire dell’uomo? Volontario nella Grande Guerra, avrebbe avuto tutti i titoli combattentistici per aderire al fascismo. Ma non gli passò mai per l’anticamera del cervello. Antifascista militante, sottoscrisse il manifesto di Benedetto Croce in antitesi a quello di Giovanni Gentile. Benito Mussolini sostenne che l’importante è durare. E sapeva quel che diceva. Perché se un regime dura, i suoi avversari si rarefanno. Un socialista antifascista come Giovanni Ansaldo, per dire, diventerà direttore del «Telegrafo» della famiglia Ciano. Calamandrei no. Ma negli ultimi anni del fascismo, chiamato dal guardasigilli Dino Grandi, si prestò a collaborare alla stesura del codice di procedura civile e del codice civile.

Non militò nella Resistenza ma ne magnificò le lodi a babbo morto. E avrebbe voluto chiudere la fiorentina Facoltà di Scienze politiche «Cesare Alfieri», ritenendola un pericoloso covo di fascisti. Come se in Italia non ci si adeguasse all’istante. La verità è che nessuno è perfetto. Neppure Calamandrei.

 

Venerdì 27 Ottobre 2017 Corriere Fiorentino.

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