I tre ostacoli la destra ora deve scegliere

 

di Ernesto Galli della Loggia

 

In Emilia-Romagna a Matteo Salvini il colpo grosso non è riuscito. Ha preso una quantità di voti, ha aumentato di moltissimo il numero dei rappresentanti leghisti, ma gli elettori in fuga dai 5 Stelle, gli incerti, gli ex astenuti che questa volta sono andati a votare, la massa di tutti costoro gli ha voltato le spalle finendo per essere decisiva nel determinarne la sconfitta. Dimostrando così ancora una volta che con qualsiasi legge elettorale nei regimi democratici si conquista la maggioranza in un solo modo: vincendo al centro. È una lezione da non sottovalutare non solo per Salvini bensì per tutti i partiti. La destra però, proprio in vista dell’obiettivo di vincere al centro, in Italia deve superare almeno tre ostacoli di non poco conto.

Il primo ostacolo è il passato. Nel nostro passato c’è stato il fascismo e poi, forse ancora più importante, la narrazione ufficialmente accreditata del medesimo. Secondo la quale il fascismo sarebbe stato un’espressione per antonomasia della destra e quindi l’Italia, se non è governata dalla sinistra, sarebbe costantemente a rischio di ripiombare nella dittatura o comunque in un regime di reazione più o meno mascherato. Ne segue che nell’immaginario ufficiale della Repubblica tutti coloro che per una ragione o per l’altra sono in modo aperto schierati contro la sinistra (come ovviamente è la destra) sono per ciò stesso sospetti di essere — almeno potenzialmente e nei modi consoni ai tempi — una reincarnazione del fascismo, come minimo dei suoi «oggettivi» battistrada.

N on a caso, nel corso dei decenni sono stati via via puntualmente accusati di essere tali la Democrazia Cristiana, i presidenti degli Stati Uniti, Craxi, Berlusconi, Indro Montanelli, Renzo de Felice, chiunque. Di fronte a tutto ciò è inutile qualsiasi tentativo di analisi, di correzione, di distinguo, non c’è niente da fare. Inutile dire che l’immaginario di cui sopra determina le opinioni di un gran numero di cittadini, della maggioranza dei organi di stampa, delle istituzioni culturali, di molta parte dell’establishment, cioè di quelle istanze che rappresentano e influenzano in modo decisivo l’elettorato di centro.

A una destra che voglia davvero vincere le elezioni non resta dunque che prendere atto di tutto ciò e regolarsi di conseguenza. Vale a dire evitare accuratamente quanto possa avvalorare i sospetti e le illazioni di cui sopra (dalle smargiassate verbali ai gesti che possano apparire intimidatori o provocatori, alla compagnia di gruppi estremisti). Ma naturalmente — è necessario aggiungerlo? — non deve trattarsi di un’operazione di facciata, di una cosmesi elettoralistica. Deve trattarsi di una scelta consapevole di linea politica e di un modo d’essere, accompagnata se necessario da un esplicito, magari duro confronto al proprio interno. Non si tratta di annacquare i propri temi o le proprie parole d’ordine, si tratta solo di non imputridirli con il fango.

Il secondo ostacolo strutturale che incontra la destra discende direttamente da quello che ho appena detto. Consiste nel suo essere poco o nulla radicata nell’establishment del Paese, perlomeno nel non esserlo in modo pubblico e visibile, e cioè ammesso dall’establishment stesso. Nella storia della Seconda Repubblica ha fatto una parziale eccezione solo Forza Italia, ma tale eccezione è stata dovuta in parte alla straordinarietà della congiuntura che inizialmente vide protagonista Berlusconi e poi per la quantità e la qualità delle risorse che il cavaliere era in grado di mettere in campo.

Tra le molte conseguenze ce ne sono due particolarmente importanti per la destra. Da un lato la ricorrente difficoltà di trovare nomi significativi della società civile per le proprie candidature, in specie nelle elezioni locali; cioè precisamente quel genere di candidature che si rivelano più utili per attrarre i consensi dell’elettorato indeciso orientato perlopiù verso il centro. È questo un problema grave soprattutto per ciò che riguarda i centri urbani, dove più alta è la concentrazione di persone acculturate sensibili alla qualità del personale politico.

Dall’altro lato, l’esiguo serbatoio rappresentato dall’establishment significa, una volta che si arriva a governare, il difficile reperimento di competenze riconosciute, il non poter contare su reti di relazioni di valore, mancare di nomi significativi per incarichi di prestigio come ad esempio quello fondamentale della Presidenza della Repubblica. Significa in altre parole avere molti problemi a governare, e di conseguenza debolezza politica.

Oggi, in Italia c’è infine un terzo grave ostacolo che la destra incontra sulla via della conquista della maggioranza elettorale: la Chiesa. Si può discutere se anche dopo la fine della Democrazia Cristiana la Chiesa nella sua massima istanza nazionale rappresentata dalla Conferenza Episcopale abbia mai cessato di occuparsi di politica nel senso di astenersi dal dare esplicite indicazioni di voto. Se comunque all’epoca della presidenza del cardinale Ruini non lo ha certo fatto, è da notare che le sue indicazioni, tuttavia, allora furono esclusivamente in positivo. Si trattò sempre di inviti più o meno trasparenti a votare a favore dello schieramento berlusconiano in quanto ritenuto più favorevole ai valori cattolici considerati in quel tempo «non negoziabili». Sotto la guida del cardinale Bassetti, viceversa, la Chiesa italiana ha sempre di più optato per un atteggiamento palesemente, talora aspramente, contrappositivo nei confronti della destra (e della Lega in modo tutto particolare), atteggiamento che in più di un’occasione è apparso addirittura far rivivere i tempi dello scontro con il comunismo. C’è davvero bisogno di ricordare che sembra tuttora molto difficile raggiungere la maggioranza elettorale in questo Paese, e riuscire poi a governare godendo di qualche credibilità, se capita di avere tra i propri avversari dichiarati la Chiesa cattolica?

L’Italia, come spiegano da tempo tutte le inchieste in proposito, è una collettività sociologicamente e ideologicamente assai poco disposta alla rottura, alle svolte più o meno radicali, è un Paese fondamentalmente conservatore. Se però stando così le cose esso dà la maggioranza dei consensi alla sinistra è ragionevole credere che più che per i meriti di questa forse ciò avvenga quasi sempre soprattutto per i limiti e gli errori della destra.

 

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