LE INCOGNITE DI UN MOVIMENTO CHE RISCHIA L’AUTOGOL

 

di Massimo Franco

 

Il tiro al bersaglio dei grillini contro il loro leader Giuseppe Conte sta diventando vistoso. Delegittimare l’esponente cooptato e spedito per due anni e mezzo a Palazzo Chigi dal Movimento sa di autogoal. Anche perché l’unico motivo per il quale è stato scelto l’ex premier sarebbe la sua popolarità tuttora resistente. Il modo sarcastico in cui Beppe Grillo lo apostrofa, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, si limita a osservare, sembrano fatti per mettere alla prova le doti leggendarie di incassatore di Conte.

Le voci accreditano una competizione tra lui e l’ex sindaca di Roma ,Virginia Raggi, bocciata alle elezioni di ottobre. E come tempi della resa dei conti, di nuovo, si indica il voto per il Quirinale a fine gennaio. Ma tutto fa pensare che spingere il ridimensionamento di Conte fino alle estreme conseguenze rappresenti tuttora un azzardo per la nomenklatura. È stato scelto dal M5S, con una finzione di tregua tra lui e Grillo che è difficile disdire senza accentuare un disorientamento allarmante.

Appaiono più verosimili un conflitto latente e un logoramento progressivo, che aggraveranno la crisi dei Cinque Stelle senza farla esplodere: almeno a breve. Che la leadership di Conte sia più debole di quanto si pensasse è evidente. Altrettanto palpabile, e rischiosa, è però a voglia degli avversari interni di dimostrare che il suo potere nel Movimento è limitato. Le nomine alla Rai sono state la manifestazione eclatante del tentativo di certificare che i suoi margini di manovra sono limitati: sebbene la narrativa ufficiale sia quella di una grande unità.

Trattandosi di quella che rimane la formazione di maggioranza relativa, c’è da chiedersi quale sarà la ricaduta di questa incertezza al vertice. L’impressione è che accentuerà la tentazione di uscire dalle difficoltà lanciando sempre più temi «populisti», con gli occhi puntati su eventuali elezioni anticipate. Per un Conte che si sente insidiato dai «governisti» grillini e sottovalutato dal premier Mario Draghi, la tattica è quasi obbligata: marcare una differenza rispetto alla coalizione, e sventare le trappole all’interno del M5S, anche assecondando le spinte più demagogiche.

Il suo appello di ieri ad aumentare gli stipendi degli italiani ne è una traduzione. Approfittando del «via libera» del Parlamento Ue al salario minimo, Conte dichiara: «Basta perdere tempo. Alziamo i salari!». L’appello ha ricevuto una accoglienza fredda. In quasi tre anni a Palazzo Chigi, il problema non si era posto. Ma le situazioni cambiano, è la replica. Per questo i grillini si preparano a dire sì al finanziamento pubblico dei partiti, prima demonizzato, e ad archiviare il divieto di candidarsi più di due volte. L’alibi sarà l’avallo digitale della Rete.

 

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