Gli operai tornano in piazza per chiedere una sterzata rapida dopo la crisi sanitaria e le conseguenti difficoltà economiche, che rischiano di triplicare abbondantemente i posti a rischio nel settore metalmeccanico. “Bisogna risolvere i 144 tavoli di crisi aperti, 80 dei quali solo tra siderurgia, automotive, elettrodomestici, installazioni, informatica e aerospazio”, fanno di conto nella Fiom. Al centro della manifestazione in piazza del Popolo a Roma dalle 10.30, organizzata in maniera unitaria con Uilm e Fim, ci sono le 80 vertenze del settore che vedono coinvolti 80mila lavoratori. Un numero che secondo le tute blu della Cgil rischia di lievitare fino a 300mila a causa della frenata dell’economia in seguito alla pandemia. Stime di fronte alle quali i sindacati chiedono a gran voce un “piano straordinario” per le filiere e una l’avvio di una politica industriale di ampio respiro.

La mappa delle crisi, dall’acciaio in giù – Non c’è solo un caso noto come quello dell’ex Ilva, passata in due anni da un accordo che prevedeva la piena occupazione nel 2023 con il rientro di 1.800 lavoratori, ora in amministrazione straordinaria, sotto l’ombrello di ArcelorMittal alla minaccia di mollare gli stabilimenti senza un ingresso statale e il licenziamento di 3.300 operai. Resta anche il nodo della Ferriera di Servola, con i suoi 700 addetti, dove Arvedi ha spento gli altoforni dopo 123 anni e, ricorda la Fiom, anche l’accordo di programma firmato martedì non garantisce vincoli e impegni sui livelli occupazionali e le tutele contrattuali. Ballano anche i 1.400 addetti della Acciai Speciali Terni dopo la decisione di TyssenKrupp di abbandonare il settore della produzione di acciaio come asset strategico e mettere sul mercato la fabbrica umbra, per la quale c’è l’interesse del gruppo Marcegaglia. Incagliata dal 2012 anche la situazione dell’ex Alcoa, ora in mano a SyderAlloys, a causa dei costi dell’energia ai quali si sono aggiunte le perplessità dell’azienda riguardo alla sostenibilità degli investimenti e degli interventi finanziari immediati. Incertezze anche a Piombino, dove Jindal – che sceglierà come amministratore delegato Marco Carrai, amico di Matteo Renzi – fa fatica a mettere in pratica il piano industriale e ad avviare la costruzione del forno elettrico.