COSÌ DI MAIO DANNEGGIA IMPRENDITORI E LAVORATORI.

 

L’opposizione al decreto dignità, ci auguriamo, entrerà nel vivo al momento del dibattito parlamentare. È del tutto evidente che una parte politica e della constituency che appoggia questo governo non si può riconoscere nella sua ideologia di fondo. Che in fondo è quella di sempre: se il lavoro è precario, ciò dipende dall’avidità di chi lo domanda, e dunque per decreto si può limitare questa attitudine. Con un mix di regole in più (causale e rinnovi) e costi aggiuntivi (maggiore contribuzione che va a beneficio dello Stato e non già dei lavoratori). Si può raddrizzare il legno storto del mercato. Si tratta di un approccio ideologico. Purtroppo l’opposizione all’opposizione (scusate il bisticcio di parole) e in particolare alla lettera di Silvio Berlusconi, ci fa capire che quella parlamentare sarà una battaglia in salita. Il ministro del Lavoro si è limitato ad una battuta: chi attacca questo decreto, aiuta le lobby. Si tratta di una posizione infantile e proprio per questo difficilmente smorzabile. È come se un fanciullo rispondesse ad una precisa sollecitazione: «perché no». Cosa vuol dire lobby? Quali sono le lobby del precariato? Forse quei piccoli e medi imprenditori a cui proprio questo governo si rivolge? Almeno sulla carta. Più strutturata l’obiezione di uno dei consiglieri di punta del ministro, Tridico. Ieri l’altro ci ha spiegato sul Corriere della Sera , che il lavoro in Italia deve costare di più, solo per questa via si incentivano le imprese a crescere nella produttività e innovare. Lo semplifichiamo: il principio è quello di fare di necessità, virtù. Purtroppo anche in questo caso si tratta di una critica fuori dalla realtà. Il sistema giuslavoristico italiano è ingessato, ingessatissimo. È dai tempi di Biagi che si cerca di riformarlo. E nel contempo l’Italia, nonostante gli auspici di Tridico, ha perso produttività nei confronti di tutti i suoi competitor internazionali. Insomma, fino ad oggi la rigidità del lavoro e il suo enorme costo per unità prodotta, lo ha frenato. Come si possa immaginare di ragionare su un modello astratto (se un lavoratore ti costa di più, sei costretto a fare meglio) per risolvere i nostri problemi, non è una posizione da folli, ma banalmente ideologica. Si vuole adeguare la realtà al proprio set di valori e pregiudizi. Niente di più lontano dalla vita delle imprese, che invano hanno cercato in questi anni di far capire a sindacati e politica, che datori e lavoratori sono dalla stessa parte. E senza i primi, purtroppo, i secondi semplicemente non ci sono.
Il Giornale.
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