Il piano A di Savona: l’euro si salva con gli investimenti.

Il Piano B di Paolo Savona, quello sul quale i media italiani hanno dissennatamente favoleggiato nei giorni della crisi, non era una specie di golpe economico-finanziario. Lo spiega lo stesso ministro per gli Affari europei di fronte alle commissioni Ue congiunte di Camera e Senato: «Potremmo trovarci in una situazione in cui non siamo noi a decidere sulla nostra permanenza nell’euro. Dobbiamo essere pronti a ogni evenienza. La Banca d’Italia mi ha insegnato che non ci si deve preparare a gestire la normalità ma il cigno nero, lo shock». Sciocchezze mediatiche a parte lui, Savona, ci tiene a chiarire di non essere un sovranista. Piuttosto un «trattativista», convinto che con l’Unione europea si debba discutere e trattare anche per consentire all’euro di non affondare.

LA RICETTA DI SAVONA è chiara: «C’è la necessità di una stretta connessione tra architettura istituzionale della Ue e politiche di crescita se si vuole che l’euro sopravviva». La prima istituzione in questione è la Bce. E’ quella che deve essere riformata in modo da funzionare come le altre banche centrali: «Se alla Bce non vengono affidati pieni poteri sul cambio ogni azione esterna all’eurozona si riflette sull’euro senza che la Ue abbia gli strumenti per condurre un’azione diretta di contrasto». La Banca, inoltre, deve disporre del «pieno e autonomo esercizio di prestatore di ultima istanza». Sono questioni di cui Savona annuncia che parlerà con Mario Draghi, senza risparmiarsi un colpo di stiletto: «Dato che ero stato delegittimato dai media ho cercato prima la legittimazione democratica. Subito dopo questa audizione vedrò Draghi».

Ma Savona non è reticente neppure sul nodo della politica italiana: le riforme promesse dalla maggioranza, Flat tax, reddito di cittadinanza, modifica della Fornero. Farle «è indispensabile». Ma con massima chiarezza sui modi e soprattutto sui tempi d’attuazione, perché è proprio quella mancata chiarezza a impedire la discesa dello spread. Bisogna quindi «rilanciare gli investimenti in misura tale da avere una crescita del Pil che consenta di diminuire il rapporto debito/Pil, sincronizzando il ritmo di spesa corrente necessaria per i provvedimenti al ritmo con cui cresce il gettito fiscale». E’ possibile «tecnicamente». Sempre che governo e Parlamento non abbiano troppa fretta di premere sul pedale della spesa corrente prima che gli investimenti abbiano dato i loro frutti. Adelante, con juicio.

E’ LO STESSO INVITO alla prudenza che poche ore prima aveva lanciato, di fronte all’assemblea annuale dell’Abi, il governatore di Bankitalia. Ma con toni diversi e insistendo molto meno di Savona sugli investimenti. Ignazio Visco mette soprattutto in guardia, pur senza nominarle, dal procedere sulle riforme promesse. Fondamentali sono «l’equilibrio dei conti pubblici» e «il tenere sotto controllo la dinamica del rapporto tra debito e prodotto».

Pur con la dovuta felpatezza quello di Visco è un segnale d’allarme chiaro. Certo, la ripresina prosegue e si prevede una crescita superiore all’1%. Ma le debolezze restano, le riforme «hanno perso slancio» e «di fronte a una nuova crisi saremmo molto più vulnerabili di quanto eravamo 10 anni fa». In questo quadro da allarme quasi rosso «le politiche di sostegno alla domanda vanno dosate con cura».

LA FORMULA DEL GOVERNATORE di Bankitalia è secca e nello spirito distante da quella del ministro Savona: massima continuità con le politiche precedenti, il nume tutela resta Pier Carlo Padoan. Dal medesimo palco il ministro dell’economia in carica, Giovanni Tria, si tiene come può in equilibrio. Bisogna «mantenere il percorso di riduzione del debito pubblico» ed «evitare un’inversione di tendenza nell’aggiustamento del saldo strutturale» (però senza impegnarsi troppo sulla «dinamica temporale più adatta», ché qualche dilazione andrà pur chiesta). Dunque riforme sì, però individuando «gli strumenti più adatti e definendo un percorso realistico di obiettivi e scadenze intermedie e finali». Magari non proprio con il freno schiacciato a tavoletta come suggerirebbe Visco, ma certo senza correre come ammonisce Savona. Anche perché qualche segnale d’allarme lo lancia anche Tria. Tra il rallentamento della produzione e quello delle esportazioni «il rischio di una moderata revisione della crescita al ribasso» c’è.

TRE LE PRIORITÀ INDICATE da Tria: riforma delle imposte dirette per alleggerire il carico su famiglie e imprese, inclusione sociale e contrasto alla povertà; rilancio degli investimenti pubblici. Insomma, a metà strada tra prudenza e audacia. Esigenze della politica permettendo.

 

Subito investimenti, serve l’unione politica»

L’audizione di Savona «Prepariamoci a tutto, anche a uscita dall’euro qualora fosse qualcun altro a chiederlo. Così andava letto il piano B» Più forza alla Bce «A Francoforte pieni poteri sul cambio e come prestatore di ultima istanza. Chiederò un incontro a Draghi»
Nessun “piano B” per l’uscita dall’euro (ma potrebbero essere altri a deciderla), questione che gli costò la poltrona di ministro dell’Economia in quota Lega, nessuna concessione a spese per finanziare il reddito di cittadinanza ma soprattutto nessuna tentazione verso il «sovranismo». Semmai: rilanciare gli investimenti per far crescere il Pil, modificare lo statuto Bce con poteri pieni sui cambi e prestatore di ultima istanza, procedere speditamente verso l’unione politica. Insomma, è un Paolo Savona che confessa il suo «spirito europeo» («non europeista che è diventata un’ideologia») quello che ieri, davanti alle commissioni riunite delle Politiche Ue di Camera e Senato, elenca per la prima volta le linee d’azione del suo dicastero. E annuncia: dopo la legittimazione del Parlamento incontrerò Mario Draghi per chiedere la modifica dello statuto Bce. Qualcosa di simile a un «Giano bifronte» come lo definirà, alla fine dell’audizione, Alessia Rotta, vicepresidente vicaria dei deputati Pd.«Mi sento cittadino europeo» esordisce Savona per poi dire di «non essere un sovranista» ma un «trattativista». Ma il punto al quale tiene di più è la governance Bce. «Occorre – afferma – attribuire alla Bce uno statuto simile a quello delle principali banche centrali dove gli obiettivi di stabilità e di crescita si integrino e gli strumenti siano i più ampi possibile». Questo vuol dire assegnare alla Bce poteri pieni sul cambio perché «ogni azione esterna all’eurozona si riflette sull’euro senza che l’Unione europea abbia gli strumenti per condurre un’azione diretta di contrasto». Alla Bce, inoltre, deve essere affidato, secondo Savona, «pieno e autonomo esercizio di prestatore di ultima istanza. È una lacuna che si riflette nello spread». E alla fine l’annuncio: «Mi recherò da Draghi appena terminato questo incontro. Prima volevo che la mia azione godesse della legittimazione democratica».

Un’altra questione essenziale per ridare forza all’economia europea, secondo Savona, passa dal rilancio degli investimenti, unico vero strumento per una crescita del Pil. Un obiettivo «tecnicamente possibile» e il «prestigio» del governo si gioca sul fatto che si riesca a rilanciare gli investimenti anche tenendo conto del fatto che esiste «un risparmio interno inutilizzato». Non sono mancate tuttavia riflessioni sull’euro. «Mi dicono – precisa – tu vuoi uscire dall’euro? Badate che potremmo trovarci in situazioni in cui sono altri a decidere. La mia posizione è di essere pronti a ogni evenienza. Una delle mie case, Banca d’Italia, mi ha insegnato a essere pronti non ad affrontare la normalità ma il cigno nero, lo choc straordinario».

Quanto alla spesa pubblica e al rispetto delle regole Ue secondo il ministro «le dichiarazioni rese ai massimi livelli che l’Italia non intende uscire dall’euro e rispettare gli impegni fiscali hanno rasserenato il mercato, ma lo spread non scende perché il nostro debito pubblico resta esposto ad attacchi speculativi». Lo spread, per Savona «resta elevato perché gli operatori attendono di conoscere come il Governo intende realizzare i provvedimenti promessi all’elettorato, soprattutto reddito di cittadinanza, flat tax e revisione della legge Fornero. La preoccupazione del mercato è che la spesa relativa causi un aumento del disavanzo di bilancio, ma giusto o sbagliato che sia, la politica del Governo ne deve tenere conto». Per evitarlo, subito gli investimenti, mentre altre parti del programma di governo che possono aumentare il debito, dovranno attendere gli effetti degli investimenti sulla crescita. E infine l’ideale per l’Europa a giudizio di Savona «è muovere verso l’unione politica».

In una nota i componenti M5S alla Camera passano sotto silenzio i caveat del ministro sulla spesa pubblica (e quindi sul reddito di cittadinanza) soffermandosi sulla visione politica che «mira a consolidare le istituzioni europee in un quadro di maggiore partecipazione economica e popolare». Le preoccupazioni di Savona per il rispetto di vincoli di bilancio sono sottolineate dal forzista Mario Siclari mentre Alessia Rotta del Pd non comprende «se Savona sia stato audito in veste di professore o di ministro e, in quest’ultimo caso, di quale governo».

 

Il Sole 24 Ore.

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