Cantone è, naturalmente, una persona perbene e un buon magistrato (infatti Palamara&C. li aveva contro), anche se probabilmente arrugginito nell’arte delle indagini, abbandonate nel 2007. Ma è forse il più “politico”, il meno equidistante e il più equivicino dei magistrati, dunque il meno adatto a dirigere i pm di Perugia. Negli ultimi 10 anni è stato candidato (senza mai una smentita) a tutte le cariche esistenti sul territorio nazionale, escluse forse quelle a Miss Italia e a presentatore del Festival di Sanremo.

Nell’ordine: sindaco di Napoli e di Roma, governatore della Campania, presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, ministro della Giustizia, dell’Interno e dei Trasporti (al posto di Lupi), persino presidente del Napoli Calcio e – Mara Maionchi dixit – “giudice di X-Factor”. Poi supercommissario qua e là, consulente, docente, membro di commissioni, task force, patti, tavoli e tavolini. A ogni scandalo targato Pd, da Mafia Capitale a Expo, dal Mose a Bancopoli, si mandava o si evocava San Raffaele come foglia di fico. E lui, uomo per tutti i gusti e le stagioni, non smentiva. Anzi, lasciava dire. Tanto quell’ente inutile che è l’Anac è tutto chiacchiere e distintivo. Sempre dalla parte giusta, Canton Vicino sorvolava sugli appalti senza gara, le corruzioni e le collusioni mafiose di Expo (“Milano è la capitale morale, Roma invece è inquinata”) e persino sui processi per falso a Sala, sulla cui innocenza metteva la mano sul fuoco, mentre denunciava la Raggi per falso. Poi naturalmente Sala veniva condannato e la Raggi assolta. Dava una mano a quell’obbrobrio ostrogoto del Codice degli appalti, poi tuonava contro la burocrazia. Esaltava “l’esperienza fondamentale e coraggiosa di Antonello Montante e di Confindustria Sicilia” che “cacciano gli imprenditori collusi con la mafia”, poi Montante finiva dentro per collusione con la mafia.

Consulente del governo Monti, collaborava alla legge Severino, ma appena si applicò a De Luca disse che per lui la decadenza dopo la condanna in primo grado non valeva (anche se era già valsa per decine di amministratori). E se la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi inseriva De Luca fra i candidati impresentabili in base alle sue imputazioni, com’era obbligata a fare per legge, lui urlava al “grave passo falso”. Quando il Pd salvava qualche ladrone forzista in Parlamento, lui trovava “doveroso che il Parlamento dissenta dai giudici”, manco fosse il quarto grado di giudizio. Le controriforme della giustizia renziane gli piacevano un sacco (persino il voto di scambio col buco e la boiata sulle ferie togate). Le riforme di Bonafede invece molto meno, perché sì vabbè il trojan, l’anticorruzione, il voto di scambio, la bloccaprescrizione, le manette agli evasori, però il problema è sempre “un altro”. Anche la trattativa Stato-mafia – malgrado le sentenze – non lo convince, perché dietro le stragi lui vede “una mano straniera: non ne ho le prove, è una sensazione”. La famosa trattativa mondo-mafia. L’estate scorsa l’Innominabile passò dal no ai 5Stelle al sì ai 5Stelle e propose un bel governo Cantone. Davigo l’avrebbe querelato. Canton Vicino tacque e lasciò dire. Come sempre. Hai visto mai.