I sacchetti, parodia del degrado politico.

 

A PAGINA 25 «Signore, c’è un iceberg sulla nostra rotta, cosa possiamo fare?». «Andiamo avanti tranquillamente, piuttosto dica al barman di bordo di non servire più le olive con il Martini. Costano troppo». Come fossimo sulla tolda del Titanic, lo scontro sui bioshopper che sta infiammando la campagna elettorale segnala il degrado del dibattito pubblico raggiunto in Italia. E purtroppo, c’è da dirlo, l’infimo livello della discussione ha contagiato anche una gran massa di elettori che sta saturando i social network con tonnellate di indignazione e di “vergogna!!!” per l’obbligo di pagare i sacchetti 2 centesimi di euro. Ora, non c’è dubbio che il governo si sia mosso in maniera maldestra e apparentemente senza una logica. Riuscendo a far passare una norma sacrosanta a tutela dell’ambiente come un’oscura manovra per favorire un’imprenditrice amica di Renzi. Un vero capolavoro politico. Entrando nel merito, non è vero che la direttiva europea imponga l’obbligo di far pagare i sacchetti, solo quello di disincentivare l’uso di materiali plastici. Il problema è che, anche volendo credere alle intenzioni proclamate dal legislatore – ovvero “educare” i cittadini a non sprecare la plastica facendo pagare i sacchetti – la soluzione adottata non ha molto senso. Esiste forse per il consumatore un’alternativa al sacchetto? Purtroppo no, visto che il ministero della salute ha detto che non si può andare al supermercato riutilizzando il bioshopper del giorno prima, bisogna che sia nuovo. E dunque siamo daccapo. Nel Nord Europa, ci spiegano gli esperti, la frutta e la verdura si possono acquistare al supermarket con delle retine riutilizzabili e lavabili. Forse basterebbe copiare la Norvegia e la Svezia invece che inventarsi una via italiana al green. Ma al sodo, la polemica politica appare comunque priva di senso. Il problema esplode solo ora perché fino a ieri pagavamo i sacchetti ma senza saperlo, semplicemente venivano caricati dal negozio sul prezzo finale. Ora lo scontrino “parla” e ci fa vedere quanto incide il prezzo della busta. È questa l’unica cosa che è cambiata. Viviamo in un mondo soffocato dalla plastica, l’Università della Georgia ha calcolato che ne finiscono in mare quasi 13 milioni di tonnellate l’anno, ma in Italia il problema sembra essere invece l’azienda della signora Catia Bastioli, amministratrice delegata della Novamont, che produce la materia prima dei sacchetti bio e anni fa parlò alla Leopolda invitata da Ermete Realacci. In questo mondo al contrario, mentre noi ci azzuffiamo sul nulla, nessuno ha ancora capito cosa intendono fare i tre principali contendenti – centrodestra, Pd e M5S – per abbattere il debito pubblico prima che i tassi di interesse ricomincino a salire e la Bce di Draghi smetta di comprare i nostri bond. Qualche settimana fa Jyrki Katainen, vicepresidente della commissione europea, con la sua abituale brutalità ha detto che i politici italiani mentono sui nostri conti pubblici. Magari avesse ragione! Mentire significherebbe comunque aver preso consapevolezza dell’enormità dei problemi e volerli nascondere. Il dubbio atroce è che anche i politici pensino che il problema sia l’oliva nel Martini e non l’iceberg che ci viene incontro. Avanti con i sacchetti.
La Stampa.
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