BANDIERA BIANCA

Massimo Giannini
Wellington è un pessimo generale, prevedo la vittoria entro l’ora di pranzo», disse Napoleone alla vigilia della battaglia di Waterloo. Salvini e Di Maio, i piccoli Bonaparte con lo scolapasta in testa, avevano detto la stessa cosa dell’Europa: « Juncker è un vecchio ubriacone, lo pieghiamo entro Natale » . È andata diversamente, per nostra fortuna. Dopo mesi di tronfia propaganda cadornista e sovranista, i gialloverdi battono in ritirata.
A Bruxelles il premier Conte firma un armistizio diplomatico che sa già di resa politica. L’Avvocato del Popolo la condisce di retorica patriottarda: « Non tradiamo la fiducia degli italiani», «non rinunciamo a nulla». Ma se ora il governo offre alla Ue un deficit ridotto al 2,04%, sempre di resa si tratta. Appena un mese fa, alla Commissione che chiedeva di non superare il tetto del 2, il capitano leghista urlava «me ne frego», e il comandante grillino gridava « se andiamo in Europa con l’idea di cambiare il 2,4% di deficit gli squali sentono il sangue ci azzannano».
Lo negheranno fino alla morte. Ripeteranno «non ci siamo mai impiccati a uno zero virgola», oppure «pensiamo ai cittadini e non ai numerini » . Ma dopo il vertice di ieri si può dire, finalmente: sono scesi dal balcone, risucchiati sulla terra dal principio di realtà, e ora salgono sul ponte, a sventolare bandiera bianca. Ed è un bene per l’Italia. Lo certificano il rally della Borsa e il calo immediato dello spread (con buona pace dei Borghi e dei Castelli, che con le loro sparate quotidiane sono i migliori alleati della speculazione anti- italiana). All’inizio della legislatura Salvini e Di Maio avevano azzardato una scommessa: manovra peronista fatta a debito in Italia e rottura unilaterale delle regole in Europa. Erano convinti di vincere facile, approfittando della debolezza di una Commissione a fine corsa e del sostegno delle destre sfasciste degli Orbán e dei Kurz.
Quella scommessa l’hanno persa. Hanno sopravvalutato i falsi amici del patto di Visegrad, che hanno scaricato l’Italia pentaleghista in un attimo, lasciandola totalmente sola nell’Unione. E hanno sottovalutato la tenuta dei ” tecnocrati” che a torto o a ragione, in vista delle elezioni europee di maggio, stanno esercitando la loro feroce pedagogia finanziaria tentando di far pagare il prezzo più alto possibile sia nei confronti di chi è già uscito dall’Unione (la Gran Bretagna) sia di chi minaccia ancora di farlo (l’Italia). Soprattutto, non hanno capito due cose. L’effetto deprimente che ha già avuto sui risparmi delle famiglie e sugli investimenti delle imprese il caos della legge di bilancio, e l’impatto devastante che avrebbe avuto sui mercati una procedura d’infrazione per debito eccessivo.
Ora, salvo ulteriori sorprese, questo pericolo è scongiurato. È toccato a Conte, da bravo retore che sa avvolgere di parole anche il nulla, aprire la strada con Juncker. Ora tocca a Tria, tragicomica maschera pirandelliana in cerca d’autore, tagliare il traguardo con i tecnici, e raggiungere un compromesso non troppo disonorevole, che non umili troppo il Paese. La Francia, nel frattempo, offre una sponda inconsapevole e insperata. Nonostante tutte le differenze tra i due Stati membri (dalla traiettoria del debito al tasso di crescita) è difficile spiegare perché l’Italia dovrebbe portare il deficit ancora più in basso all’1,8%, mentre Parigi può permettersi di finanziare il suo nuovo piano di spesa sociale facendolo salire al 3,5% (a meno che, dopo i gilet gialli in corteo a Parigi, non si punti a far nascere i gilet gialloverdi in marcia su Roma). I pentaleghisti in politica interna rispondono a qualunque critica con un insopportabile ” e allora il Pd?”: adesso, in Europa, possono sfoderare anche un ineffabile “e allora Macron?”. Questo, nel rapporto con Bruxelles, qualche peso lo avrà.
Resta da chiedersi cosa rimane, dopo la resa. Sul piano politico il governo compra tempo, e stempera gli attriti ormai quotidiani nella maggioranza ( dalla Tav all’ecotassa, dagli inceneritori al decreto sicurezza) risolti a colpi di fiducia. Ma sul piano economico il governo ha ancora molto da spiegare. La manovra è un guscio vuoto, e non è affatto chiaro come si possano ” cedere” alla Ue oltre 7 miliardi sui 37 già previsti in legge di bilancio mantenendo invariati ( come giura Conte) importi e beneficiari sia del reddito di cittadinanza sia di quota 100 sulle pensioni. È chiaro che si ridurranno, gli uni e gli altri. E la manovra rimane comunque inutile, perché non aggredisce le grandi criticità del Paese. La bassa crescita, la produttività del lavoro tra le più piatte dell’Ocse, la spesa per ricerca e istruzione ai più infimi livelli dell’Unione, la scarsa propensione delle imprese a innovare e a investire, l’evasione fiscale, la burocrazia e l’inefficienza della pubblica amministrazione. C’è un aiuto ai poveri, che sono 5 milioni, ed è un fatto positivo. Ma non c’è un piano serio per il rilancio dell’occupazione, e non c’è un euro per i giovani. È il vero, tragico limite di questa ” manovra del popolo”. E il popolo, prima o poi, se ne accorgerà.
Fonte: La Repubblica, https://www.repubblica.it/