Avanti adagio.

di Francesco Battistini

Qualcosa si muove nei Balcani. Si muovono la Russia, la Turchia e la Cina, interessate a influenzarne la politica e lo sviluppo. Tenta di muoversi anche l’Europa, con un tour nella regione del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, assieme alla «ministra degli Esteri» Federica Mogherini. Oggi arrivano in Kosovo: nelle stesse ore in cui il Parlamento di Pristina, dopo mesi di negoziati, è chiamato a ratificare l’accordo sui confini col Montenegro. Una lite per un paio di villaggi, ottomila ettari di territorio, che però ha finora rallentato l’avvicinamento dei due Paesi alla Nato e all’Ue. La chiamano la «Balkan Fatigue», la lunghissima marcia di questa regione verso l’Europa. Solo Slovenia e Croazia sono riuscite a concluderla. Per gli altri, la strada sembra infinita: un paradosso, se si pensa all’acceso dibattito sull’accoglimento della Turchia, in ogni senso ben più lontana da Bruxelles. C’è una data remota, il 2025, che porterà il Montenegro e la Serbia nell’Unione. Anche se, ha detto Juncker a Belgrado, «non possiamo accogliere Stati che non abbiano risolto le loro dispute territoriali»: di Podgorica con Pristina, ormai in via di soluzione, oltre a quella (molto più complicata) che oppone i serbi ai kosovari per il riconoscimento dell’indipendenza di questi ultimi, e alla lite fra Skopje e Atene sull’uso del nome Macedonia. Il Kosovo (nella foto Afp, i festeggiamenti per l’indipendenza nel 2008) è il fanalino di coda del treno balcanico che vuole entrare in Europa: i suoi cittadini sono i soli ad avere ancora bisogno del visto sul passaporto, e il problema è stato spesso discusso in queste settimane di festeggiamenti per il decimo anniversario dell’indipendenza. Sono 116 i Paesi che in tutto il mondo hanno riconosciuto il Kosovo, ma i veti di Russia, Cina, Spagna e d’altri quattro governi Ue restano un ostacolo enorme. In questo, Belgrado gioca la sua partita e sta lentamente spingendo molti Stati a ripensarci. L’ultimo sarebbe il Burundi, convinto a chiudere l’ambasciata a Pristina in cambio (accusano i kosovari) d’armi e di soldi. Qualcosa si muove: avanti adagio, quasi indietro.