LE IDEE
L’esplosione di ieri all’impianto austriaco di Baumgarten e lo psicodramma che ne è seguito, fra la paura di restare al freddo e le voci di un rincaro del gas, non hanno fatto che riproporre una doppia fragilità del nostro Paese troppo a lungo sottovalutata. pagina 34 L’esplosione di ieri all’impianto austriaco di Baumgarten e lo psicodramma che ne è seguito, fra la paura di restare al freddo e le voci di un rincaro del gas, non hanno fatto che riproporre una doppia fragilità del nostro Paese troppo a lungo sottovalutata. Parla chiaro l’ultimo rapporto trimestrale pubblicato dall’Enea: «Un elemento strutturalmente critico del sistema energetico italiano sta nella combinazione di un elevato livello di dipendenza dall’import, non diversamente dagli altri Paesi Ue, e di un peso molto rilevante del gas nel mix di energia primaria, che invece è decisamente più alto rispetto agli altri grandi Paesi Ue».
Più alto, e per giunta sale. Secondo le stime, per la fine del 2017 le importazioni di metano toccheranno il massimo storico, superando il 92% di un fabbisogno nazionale che continua a rimanere assolutamente abnorme. Le medesime stime dicono infatti che il 2017 sarà l’anno in cui la quota del gas naturale tornerà anch’essa in prossimità del massimo storico: 38%. Il fatto è che la crescita delle fonti rinnovabili si è fermata, presentando addirittura un calo del 7% nel secondo trimestre. Il che ha contribuito a favorire la riscossa delle centrali termoelettriche alimentate a gas. E soltanto l’Italia consuma così tanto metano per mandare avanti quegli impianti.
C’è poi la non irrilevante questione della provenienza geografica delle forniture. Il rapporto dell’Enea segnala che a fronte di un aumento del 20% delle importazioni attraverso il valico del Tarvisio, cioè del gas che ci arriva dalla Russia attraverso il nodo di Baumgarten, quelle dall’Algeria si sono ridotte di ben il 31%.
Il risultato è che oggi circa la metà del metano consumato in Italia ce lo vende Vladimr Putin. Siccome poi, come detto, la quota del gas sulla nostra energia primaria viaggia verso il 40%, ecco spiegata la prima fragilità: dipendiamo dalla Russia per circa il 20%. Ciò non è certamente il frutto del caso. Piuttosto, è la conseguenza di precise scelte politiche fatte negli anni scorsi dai nostri governi. In particolare, il decennio governato da Silvio Berlusconi ha sperimentato una rilevante saldatura fra gli interessi italiani e quelli russi in campo energetico. Né le iniziative messe in campo per diversificare le fonti di approvvigionamento hanno potuto cambiare radicalmente lo scenario.
La costruzione di rigassificatori si è scontrata spesso con le proteste delle comunità territoriali e degli ambientalisti, come a Brindisi e Monfalcone. Per non parlare della durissima opposizione locale allo sbarco in Puglia del Tap ( Trans adriatic pipeline ), che dovrebbe portare in Italia il gas estratto in Azerbaigian, ex repubblica sovietica nella quale è riprodotto il modello politico presidenzial-familistico di altri Stati asiatici scaturiti dalla dissoluzione dell’Urss. Il suo presidente Ilham Aliyev è in carica dal 2003 dopo aver preso il testimone da suo padre Heydar, già segretario del partito comunista che aveva governato dal 1993 al 2003.
Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha sottolineato che se il gasdotto alternativo fosse in funzione, non avremmo corso alcun rischio. Probabile, anche se va detto che la realizzazione di quell’impianto è ancora lontana: le infrastrutture per portare il gas azero in Albania non sono ancora al 60 per cento. Ma quel tubo non può essere la chiave di volta del problema. La soluzione è liberarsi di una schiavitù così grande dal gas, che rappresenta la nostra seconda fragilità. Purtroppo però l’Italia sconta l’incapacità cronica di pianificare strategie a lungo termine. Così nei trasporti, nell’ambiente e nell’energia. In questo caso, con un pizzico di masochismo in più: perché le scelte in un campo tanto delicato e cruciale sono ancora per il titolo V della nostra Costituzione materia concorrente fra Stato centrale e Regioni. Pura follia.
Più alto, e per giunta sale. Secondo le stime, per la fine del 2017 le importazioni di metano toccheranno il massimo storico, superando il 92% di un fabbisogno nazionale che continua a rimanere assolutamente abnorme. Le medesime stime dicono infatti che il 2017 sarà l’anno in cui la quota del gas naturale tornerà anch’essa in prossimità del massimo storico: 38%. Il fatto è che la crescita delle fonti rinnovabili si è fermata, presentando addirittura un calo del 7% nel secondo trimestre. Il che ha contribuito a favorire la riscossa delle centrali termoelettriche alimentate a gas. E soltanto l’Italia consuma così tanto metano per mandare avanti quegli impianti.
C’è poi la non irrilevante questione della provenienza geografica delle forniture. Il rapporto dell’Enea segnala che a fronte di un aumento del 20% delle importazioni attraverso il valico del Tarvisio, cioè del gas che ci arriva dalla Russia attraverso il nodo di Baumgarten, quelle dall’Algeria si sono ridotte di ben il 31%.
Il risultato è che oggi circa la metà del metano consumato in Italia ce lo vende Vladimr Putin. Siccome poi, come detto, la quota del gas sulla nostra energia primaria viaggia verso il 40%, ecco spiegata la prima fragilità: dipendiamo dalla Russia per circa il 20%. Ciò non è certamente il frutto del caso. Piuttosto, è la conseguenza di precise scelte politiche fatte negli anni scorsi dai nostri governi. In particolare, il decennio governato da Silvio Berlusconi ha sperimentato una rilevante saldatura fra gli interessi italiani e quelli russi in campo energetico. Né le iniziative messe in campo per diversificare le fonti di approvvigionamento hanno potuto cambiare radicalmente lo scenario.
La costruzione di rigassificatori si è scontrata spesso con le proteste delle comunità territoriali e degli ambientalisti, come a Brindisi e Monfalcone. Per non parlare della durissima opposizione locale allo sbarco in Puglia del Tap ( Trans adriatic pipeline ), che dovrebbe portare in Italia il gas estratto in Azerbaigian, ex repubblica sovietica nella quale è riprodotto il modello politico presidenzial-familistico di altri Stati asiatici scaturiti dalla dissoluzione dell’Urss. Il suo presidente Ilham Aliyev è in carica dal 2003 dopo aver preso il testimone da suo padre Heydar, già segretario del partito comunista che aveva governato dal 1993 al 2003.
Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha sottolineato che se il gasdotto alternativo fosse in funzione, non avremmo corso alcun rischio. Probabile, anche se va detto che la realizzazione di quell’impianto è ancora lontana: le infrastrutture per portare il gas azero in Albania non sono ancora al 60 per cento. Ma quel tubo non può essere la chiave di volta del problema. La soluzione è liberarsi di una schiavitù così grande dal gas, che rappresenta la nostra seconda fragilità. Purtroppo però l’Italia sconta l’incapacità cronica di pianificare strategie a lungo termine. Così nei trasporti, nell’ambiente e nell’energia. In questo caso, con un pizzico di masochismo in più: perché le scelte in un campo tanto delicato e cruciale sono ancora per il titolo V della nostra Costituzione materia concorrente fra Stato centrale e Regioni. Pura follia.
La Repubblica – Sergio Rizzo – 13/12/2017 pg. 1 ed. Nazionale.