Venezia A 40 anni dalla scomparsa la fondazione che porta il suo nome celebra gli anni italiani della collezionista e mecenate

 

La mostra

Le passioni di una dogaressa

Stefano Bucci

Peggy Guggenheim in Laguna

Storia di una stagione eccezionale

VENEZIA «Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele, ma è un grave errore. Venire a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro». In poche frasi, dalla sua autobiografia ufficiale (Una vita per l’arte, Rizzoli, 1998), c’è tutta la storia di Peggy Guggenheim (New York, 26 agosto 1898 – Venezia, 23 dicembre 1979). E del suo legame con Venezia, città che la miliardaria-cosmopolita-collezionista aveva scelto come suo «luogo del cuore e dell’anima», come centro di gravità permanente per la sua passione per l’arte contemporanea. Perché non è certo un caso se le sue ceneri si trovano ora nell’angolo del giardino di Palazzo Venier dei Leoni, accanto ai suoi «beloved babies» (i suoi quattordici cani Lhasa Apsopuppy).

Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa è il titolo della mostra curata da Karole P. B. Vail, attuale direttrice della Collezione Peggy Guggenheim (nonché nipote di Peggy, che era sua nonna) con Gražina Subelytė che da sabato 21 settembre al 27 gennaio, alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, celebra l’epopea veneziana della sua fondatrice, a quarant’anni dalla morte e a settant’anni dalla sua prima mostra a Palazzo Venier dei Leoni, attuale sede della Fondazione. Una passione, la sua, in qualche modo di famiglia, visto che Peggy era nipote di quel Solomon R. Guggenheim che nel 1937 avrebbe dato vita alla omonima fondazione destinata «a promuovere la comprensione dell’arte e fondare e dirigere uno o più musei» (a cominciare dalla famosa «spirale» realizzata dall’architetto Frank Lloyd Wright nella 5th Avenue di New York). A quella stessa Fondazione, nel 1970, Peggy avrebbe deciso di donare il suo palazzo e nel 1976 le sue opere d’arte.

Tappa dopo tappa rivivono così le mostre e gli eventi che hanno segnato gli anni trascorsi da Peggy in Laguna, dal 1948 al 1979. «Per me era importante commemorare e celebrare Peggy Guggenheim a 40 anni dalla scomparsa esponendo la maggior parte della sua collezione — spiega Vail —. Questo vuole essere un grande omaggio a una straordinaria collezionista, un’opportunità unica per considerare la collezione con occhi nuovi e per ammirare opere meno esposte, riflettendo sul suo percorso di vita e su quello che rappresenta oggi per tutti noi l’enorme patrimonio che Peggy ci ha lasciato».

Una sessantina di opere, tra dipinti, sculture e lavori su carta, selezionate tra quelle acquisite nel corso degli anni Quaranta e il 1979, anno della scomparsa di Peggy Guggenheim, un mix ancora oggi eccitante di artisti noti (Jackson Pollock, Mark Rothko, Robert Motherwell, Jean Arp, Willem de Kooning, Alberto Giacometti, Costantin Brancusi) e meno noti ma comunque di grande valore (Reg Butler, Lynn Chadwick, Kenzo Okada, Corneille, Franco Costalonga, Heinz Mack) della collezione, con L’impero della luce di René Magritte accanto all’Autunno a Courgeron di René Brô, con lo Studio per scimpanzé di Francis Bacon accanto a Serendipity 2 di Gwyther Irwin.

Seguendo le orme di Peggy «l’anticonformista» la mostra non celebrerà il suo mito, piuttosto racconterà le sue passioni. Mettendo insieme, nelle sale di Palazzo Venier dei Leoni, la maggior parte delle opere acquistate tra il 1938, quando a Londra Peggy apre la sua prima galleria Guggenheim Jeune, e il 1947, anno in cui si stabilisce a Venezia, un’occasione unica per vedere riunita l’intera collezione. E per qualche sorpresa: come quelle riservate dagli scrapbook: gli album (appena restaurati) in cui la collezionista aveva raccolto meticolosamente articoli di giornali, fotografie, lettere, inviti a dinner party. Un mosaico davvero sorprendente appunto: «Venezia sopravviverà alla Signora Guggenheim. La moda dell’arte suprematista passerà come le altre» oppure «Ho preferito l’arte al quarto marito» sono, ad esempio, solo due dei tanti titoli di giornali dedicati negli anni alla vicenda di Peggy ora «riemersi» dagli scrapbook. Mentre tra i tanti «ritrovamenti» c’è la Scatola in una valigia, realizzata da Marcel Duchamp nel 1941 proprio per Peggy: 69 riproduzioni e miniaturizzazioni dei suoi lavori nuovamente a Venezia dopo un laborioso intervento di restauro all’Opificio delle pietre dure di Firenze.

Tutto inizia, almeno per quello che riguarda Venezia, nel 1948 quando Peggy viene invitata a esporre la sua collezione alla XXIV Biennale: è la prima presentazione della collezione in Europa dopo la chiusura della galleria-museo newyorkese Art of This Century e il trasferimento in Italia. L’ultima Dogaressa si apre proprio con un omaggio a questo evento divenuto epocale: perché i lavori allora esposti negli spazi del padiglione della Grecia furono i più contemporanei di tutta la Biennale, soprattutto per la presenza di opere dell’Espressionismo astratto americano, in assoluto la più grande novità della rassegna. Non solo, la mostra segnerà anche il debutto in Europa di Pollock, e la prima presentazione fuori dagli Stati Uniti di una nuova generazione di giovani artisti americani che, negli anni a venire, avrebbero dominato la scena artistica internazionale. Ma la mostra è anche un omaggio a Venezia e agli artisti italiani, in particolare a quelli attivi alla fine degli anni Quaranta. Cominciando da Emilio Vedova, di cui sarà esposta Immagine del tempo (Sbarramento), primo artista a entrare nella collezione dopo lo sbarco di Peggy in Laguna.

 

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