Marion Maréchal: “Italia e Francia unite contro il potere della Germania. Siamo l’alternativa al multiculturalismo”

A 29 anni la nipote di Marine Le Pen è la promessa nelle elezioni 2022: «Salvini empatico ma i leader devono avere più contegno»

PARIGI. Ieri è stato il giorno della riappacificazione tra Francia e Italia. Vista da Parigi, però, questa prima visita di Emmanuel Macron a Roma, dopo la nascita del nuovo governo Conte, ha un altro sapore. Almeno per qualcuno: «All’origine della crisi diplomatica del febbraio scorso non c’era stata la Lega Nord ma l’M5S, dopo che Luigi Di Maio aveva incontrato i rappresentanti dei gilet gialli in Francia. Ecco, chi è stato criticato aspramente ieri diventa oggi un interlocutore rispettabile e interessante. È l’ipocrisia della politica». Parla Marion Maréchal (ha rinunciato a Le Pen, il cognome del nonno Jean-Marie), 29 anni, già promessa del Rassemblement National (Rn), il partito della zia Marine. E che oggi si ritrova «mina vagante» (la definizione è sua) della destra francese. Il suo compagno è Vincenzo Sofo, ideologo della Lega. C’è chi guarda a Marion come l’unica che possa vincere alle presidenziali del 2022 contro Macron (ma lei nega di volersi candidare).

Riconoscerà, però, che Salvini ha sbagliato strategia quest’estate…
«Sono i 5 Stelle che l’hanno tradito dopo le elezioni europee. La sua reazione è stata legittima».

Approva anche il Salvini dj al Papeete Beach di Milano Marittima?
«Lui è empatico, vicino alla gente. Ma in Francia il suo stile non funzionerebbe. Da noi il fantasma del generale de Gaulle plana su tutti i politici. Esistono aspettative intellettuali, di contegno».

E adesso il leader della Lega finirà isolato a destra come Marine Le Pen in Francia…

«Questo paragone non si può fare. La Lega è diventata il grande partito della destra nel vostro Paese e non è il caso dell’Rn. La formazione italiana è radicata localmente, dove è disposta a formare coalizioni con altre forze. Il Rassemblement National no. È una forza politica nazionale innegabile, ma al peggio fa il 15% e al meglio il 30. Così in Francia e senza alleanze non potrà governare».

Il prossimo 28 settembre lei parteciperà a Parigi a una Convention della destra. Che finalità ha?
«Vogliamo riflettere sulle sfide che deve affrontare e andare oltre le sue divisioni. Bisogna superare il settarismo dei partiti che prevale in Francia e che in Italia non c’è. Lì si va anche troppo lontano in questo senso, nella ricerca delle alleanze: basta vedere gli ultimi due governi».

La crisi dei moderati Repubblicani può aiutare a una ricomposizione a destra?
«Certamente».

Cosa deve fare la destra in Francia?
«Esprimere un’indipendenza vera rispetto al progressismo, al multiculturalismo, all’ideologia del libero scambio a ogni costo. Bisogna ricostrure un movimento di pensiero».

È il motivo per il quale ha creato l’Issep a Lione, una scuola di scienze politiche di livello universitario?
«No, la scuola non ha come finalità l’unione delle destre ma l’emergere di una nuova classe dirigente. Pratichiamo il pluralismo intellettuale. Per questo studiamo tutti gli autori, di destra e di sinistra. Anche Gramsci».

Cosa apprezza del filosofo italiano?
«Non penso alla finalità del suo progetto ma all’egemonia culturale alla quale puntava, al metodo utilizzato per conquistare il potere. Non sono ideologicamente d’accordo con lui. Quando cito Gramsci, voglio provocare la destra, scuoterla, mostrare che l’egemonia della sinistra è passata attraverso il controllo della leva politica, rappresentata dalla scuola, dai media, dalla cultura».

Dopo le ultime elezioni, la Lega e Rn sono riusciti a coinvolgere nel loro gruppo all’Europarlamento solo i tedeschi dell’Adf. Secondo lei, esiste un fronte sovranista europeo?
«Non credo che un cambiamento di rotta dell’Unione passi da Bruxelles. Solo i Governi possono qualcosa. Il problema è controbilanciare la potenza tedesca. E ritengo che una parte della soluzione si trovi in un’alleanza tra Francia e Italia, che è un importante contribuente netto dell’Ue. Si fa un errore a sperare solo nella resistenza dei Paesi di Visegrad. Che sono beneficiari netti. Approfittano del sistema e non vorranno mai cambiarlo».