Unicredit insiste: nessuna fusione in soffitta la subholding per l’estero

L’istituto nel terzo trimestre doppia le stime e chiude con 680 milioni di profitti, nei nove mesi perdita da 1,6 miliardi
francesco spini
«Non c’è alcun progetto che riguardi fusioni o acquisizioni», dice Jean Pierre Mustier. L’ad di Unicredit lo rimarca dopo settimane di indiscrezioni che, ripetutamente, hanno chiamato in causa la banca di piazza Gae Aulenti come cavaliere bianco del Monte dei Paschi di Siena, chiamato in soccorso dal ministero dell’Economia. L’occasione, per il banchiere, sono i conti dei primi nove mesi che si chiudono in rosso per 1,6 miliardi, ancora sotto il peso delle poste straordinarie del primo trimestre (tra costi per le uscite di personale e minusvalenze per la dismissione in Turchia) ma con buoni spunti dal terzo trimestre. Nel periodo, infatti, l’utile doppia le stime degli analisti a 680 milioni di euro, il 62,1% in più rispetto ai tre mesi precedenti, –42,4% sull’anno precedente.
Mustier coglie la palla al balzo anche per chiarire la questione della subholding che, secondo alcune interpretazioni, avrebbe rischiato di dividere in due Unicredit. La «scatola» in cui inserire le attività estere del gruppo (tedesche e austriache per lo più) per ora resterà chiusa in un cassetto. «Abbiamo lanciato il progetto subholding per ottimizzare il costo del funding e la liquidità. Nell’attuale contesto macroeconomico, grazie ai massicci acquisti della Bce e allo spread basso, non serve realizzarlo». Il progetto rimane dunque tale: «Oggi non è rilevante».
Mustier non cambia «di un centimetro» la sua linea. Anziché acquistare altre banche, il banchiere guarda all’attività propria della banca e agli azionisti. «Abbiamo la più forte base di capitale di sempre (il Cet1 è al 14,41%, ndr), l’eccesso di capitale sarà utilizzato per supportare l’economia e per remunerare gli azionisti». A tale proposito Mustier assume l’impegno di «ripristinare la nostra politica di distribuzione del capitale», che «abbina alla distribuzione del 50% degli utili netti sottostanti, da realizzarsi con un mix di dividendi in contanti e riacquisto di azioni, la distribuzione graduale, a partire dal 2021, del capitale in eccesso», in pratica il dividendo non distribuito nel 2019. E di fronte agli analisti si dice «fiducioso» che la Bce dia disco verde per tornare a staccare cedole a partire dal prossimo anno.
Il rimbalzo dell’utile del terzo trimestre (il profitto “sottostante”, quello su cui vengono calcolati dividendi e buyback, sale del 31% sul trimestre precedente, a 692 milioni) si accompagna a una crescita dei ricavi: +4,4% rispetto ai tre mesi precedenti, –7,4% anno su anno e con il contributo, quanto a utili, di tutte le divisioni. «Siamo in linea con i tempi previsti per conseguire il nostro obiettivo di utile netto sottostante superiore a 0,8 miliardi per l’intero 2020 e confermiamo il nostro target tra 3 e 3,5 miliardi per il 2021», dice l’ad. In primavera ci sarà il rinnovo del cda, Mustier non commenta le voci che lo vorrebbero pronto a seguire altre sirene bancarie: «Continuo a lavorare con il management e il cda per portare avanti il piano strategico». Nessun problema, invece, sulla scelta di un politico come l’ex ministro Pier Carlo Padoan come futuro presidente. «Ritengo che la banca abbia scelto il miglior presidente». Il management «conserva la sua indipendenza nei confronti di chiunque e gestisce la banca nell’interesse degli stakeholder e delle comunità» per cui «continueremo a gestire la banca in questo modo e Padoan è perfettamente allineato su questo».
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