Un viaggio senese: il Monte dei Paschi

di Pierluigi Piccini

 

E parliamo del Monte dei Paschi. Passate le elezioni comunali del ’93, vinte dal PDS “ufficiale”, rimaneva da affrontare il nodo dell’applicazione della legge Amato-Ciampi. Il tentativo messo in atto in quella prima fase fu quello di riappropriarsi in toto della Banca da parte della comunità senese. Il lavoro fu affidato a un gruppo di giuristi che faceva capo a Pietro Rescigno. La tesi che Rescigno sosteneva consisteva nel fatto che, una volta uscito il Ministero del Tesoro dalla compagine di governo del Monte, la banca sarebbe dovuta ritornare al legittimo fondatore cioè a Siena, nella figura del Comune. Questo lavoro, predisposto dal gruppo degli esperti, fu presentato in Consiglio comunale, ai rappresentanti politici e istituzionali della città della Provincia e della Regione e inviato ai cittadini senesi. Tuttavia la tesi di Rescigno non fu fatta propria dai vari soggetti presenti in Comune e rimase lettera morta: a riprova di un obiettivo diverso, di questi ultimi, dal riposizionamento del Monte in sede locale.

Il Comune fu allora costretto ad adottare una nuova linea operativa, mantenendo però lo stesso obiettivo. L’azione era in contrasto con i vari rappresentati del Ministero competente e con l’opposizione, neppure tanto velata, del Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, che arrivò a minacciare di sottoporre l’Istituto bancario senese a controlli speciali. In questa situazione arrivammo alla quotazione della Banca in Borsa. Da sottolineare che, a differenza di quanto sostengono i meno accorti, non si è mai trattato di una privatizzazione, ma di una semplice quotazione in Borsa, fra l’altro andata benissimo. Non può essere una privatizzazione perché la quasi totalità delle azioni rimasero in mano alla Fondazione Monte dei Paschi e dunque, anche dopo la stesura dello Statuto, restò di nomina pubblica e in sede locale. Certo, il Comune cedeva una parte della sua presunta sovranità, ma in cambio di una operazione eccezionale, il mantenimento del controllo degli enti locali, che ancora oggi viene ricordata come originale ed unica. Tale risultato fu ottenuto con non pochi contrasti anche dentro i DS: c’era una parte consistente che avrebbe tolto volentieri il Comune dai soggetti nominanti (la Provincia e i soggetti politici che ci facevano riferimento). Lo scontro si manifestò apertamente al tavolo del ministero presieduto dal sostituto di Lamberto Dini, in quel momento Presidente del Consiglio. La delegazione comunale abbandonò il tavolo e scrisse una lettera a Dini per dire che non avrebbe continuato la trattativa a causa della volontà manifestata dagli altri partecipanti, tranne il Monte, di togliere la potestà di nomina alla città di Siena. Dini intervenne risolvendo positivamente la questione, le trattative ripresero e portarono allo Statuto che fu deciso insieme a Giulio Sapelli. Statuto che entrò in vigore nel 2001 con la presidenza di Giuseppe Mussari. C’è solo da ricordare che il lavoro svolto negli anni precedenti portò a blindare la banca almeno fino al 2004 e a dotare la Fondazione Monte dei Paschi di un patrimonio di 11 miliardi di euro. Perché fino al 2004? Perché nel 2004 la Fondazione scese sotto il 50% per far entrare dei soci privati nelle persone di Caltagirone, Gnutti, Cosorte. Come disse Ceccerini, Presidente della Provincia, per permettere alla Banca di entrare nei salotti buoni della Finanza. Fu scartata, viceversa, la proposta di costituire un azionariato popolare che, oltre a distribuire ricchezza al territorio, avrebbe permesso di blindare la banca. La nostra proposta dell’azionariato popolare fu scartata violentemente da tutti i partiti, tranne la Lega, dalle istituzioni e dai sindacati. Non fu compresa e, quando fu ritirata in ballo, era troppo tardi perché avrebbe distribuito solo perdite. Ma c’è un motivo ulteriore: le public company non piacciono in Italia perché «rompono lo scambio politico tra governance, politica e sindacato» (Antonio Vigni). Qualche burlone scrisse che i senesi non potevano comprarsi la banca per la seconda volta. Quindi, a conclusione, la vera privatizzazione è iniziata nel 2004 e si concluderà con la prossima uscita dello Stato dal Monte che, con molta probabilità, perderà la sua autonomia. Siamo arrivati a questo punto per un solo motivo: la cattiva gestione di chi deteneva le leve politiche a Siena, ma anche di alleati che non hanno svolto nessun ruolo critico, accontentandosi di far parte della partita così come le cosiddette opposizioni. Insomma quella operazione iniziata tanti anni fa nel ’93 di portare via la Banca da Siena si sta per concretizzare, lasciando i nostri territori, compreso quello regionale, in gravi difficoltà. Io fui espulso dal DS nel 2004 continuando a fare battaglie controcorrente, per denunciare quanto stava accadendo, inascoltato.

 

2-continua