Tra Conte e Di Maio si parte già con una lite sul ruolo di Fraccaro

Il capo grillino impone il suo fedelissimo come sottosegretario alla presidenza del Consiglio dopo un violento scontro: “O lui o salta tutto”. Conte si piega (ma poi lo degrada). Berlusconi a Zingaretti: “Per la legge elettorale ci siamo anche noi”

Per centoquaranta minuti Luigi Di Maio ha minacciato di far precipitare l’Italia in una nuova crisi di governo. Succede quando il leader lascia lo studio di Giuseppe Conte, sbattendo la porta.

Le dieci sono passate da venti minuti. Il premier gli ha appena spiegato che non può accettare Riccardo Fraccaro come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Non uno con un passato che tutti conoscono come pupillo della Casaleggio associati, sentinella scelta nel 2013 da Gianroberto Casaleggio per controllare il gruppo della Camera.

“Non è una scelta appropriata, lo capisci?”, prova a farlo ragionare il premier. Preferirebbe Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi, con cui ha lavorato benissimo. Il nuovo ministro degli Esteri, però, è un muro. “Se non accetti questa condizione, per me possiamo chiuderla qui”.

È una minaccia sproporzionata, il sintomo di uno scontro tra leadership per il controllo del Movimento e del suo futuro. Il rilancio di Di Maio è inaccettabile per il Pd, né può digerirlo il Presidente del Consiglio.

Sergio Mattarella, intanto, attende Conte al Quirinale. Ed è costretto a spendere una mattina in attesa che il capo dei 5S dia il via libera a una lista che ha scelto di bloccare per imporre un suo uomo fidato.

La lite è grave. Umanamente, prima ancora che politicamente. Da giorni, infatti, Conte aveva deciso di promuovere Chieppa. Lo considera il migliore per gestire tecnicamente una macchina che dovrà già fare a meno dei due vicepremier. Ma è proprio questa la “colpa” dell’avvocato, ad ascoltare quanto fa trapelare Di Maio.

“Hai già accettato il veto del Pd sul mio nome per la vicepresidenza del Consiglio – gli urla il grillino – non posso tollerare che si ripeta”. Sostiene che i patti erano altri, ma Conte gli ricorda di aver chiesto già al rientro dal G7 di Biarritz una sola casella: quella pretesa per Fraccaro.

La verità è che la bocciatura alla vicepremiership brucia ancora troppo. Di Maio si sente accerchiato. Martellato da voci che riportano di forti perplessità interne e internazionali per il suo futuro alla Farnesina. Ha bisogno di blindare la macchina di Palazzo Chigi, imponendo Fraccaro per ricevere in tempo reale il resoconto delle mosse dell’avvocato.

È già passata un’ora. Conte telefona a Zingaretti. Avverte il Quirinale, si scusa per l’inciampo che fa slittare il colloquio. Entrano in campo i mediatori, bussano alla porta di Di Maio distante pochi metri dall’ufficio del premier.

Fallisce anche l’ipotesi di compromesso, che porterebbe Vincenzo Spadafora nel ruolo che fu di Giorgetti: per il capo 5S è troppo autonomo, nonostante il curriculum “dimaiano”. E troppo in sintonia con Dario Franceschini per meritare una promozione. Il premier, alla fine, accetta Fraccaro. Sono le 12.40. Ma è infuriato. E lancia una contromossa destinata a riaccendere lo scontro: Chieppa viene comunque indicato come sottosegretario alla Presidenza. Avrà “deleghe importanti in ambito legislativo”.

Non parteciperà al consiglio dei ministri, certo. Ma gestirà comunque tutti i dossier più delicati. È una sfida silenziosa e letale a Di Maio. E punta a ridimensionare il ruolo di Fraccaro. Un po’ come accadde quando Paolo Gentiloni, in rotta con Matteo Renzi, iniziò a non coinvolgere Maria Elena Boschi – allora sottosegretaria a Palazzo Chigi – in molte decisioni cruciali dell’esecutivo.

Chiuso il “caso Fraccaro”, intanto, la lista è pronta per essere consegnata a Mattarella. Anche perché gli altri scogli vengono risolti in fretta: Franceschini sceglie la Cultura – e non la Difesa, la scelta considerata ideale dal Colle – e libera la casella del ministero appena lasciato da Trenta a un altro nome gradito al Quirinale, Lorenzo Guerini. Anche le residue resistenze su Roberto Gualtieri all’Economia si dissolvono. Conte può sciogliere la riserva.

Mentre Di Maio riunisce i suoi uomini a Palazzo Chigi, provato da uno scontro che cancella ogni festeggiamento, Conte rientra a Palazzo. E inizia a preparare il discorso programmatico che pronuncerà lunedì alla Camera per chiedere la fiducia. Vuole offrire alle forze di maggioranza un perimetro largo, che rimodelli il quadro e archivi lo strapotere di Salvini. Immagina una nuova fase, in cui pensa di dover essere protagonista. E per farlo, anche se non lo dirà, c’è bisogno del proporzionale.

Proprio la legge elettorale è già al centro delle trattative più delicate. E un dettaglio dice più di mille ragionamenti. Siamo alla fine della scorsa settimana. Squilla il telefono di Nicola Zingaretti. È Silvio Berlusconi. “Se davvero volete il proporzionale, noi siamo pronti”. Quando attacca, il Cavaliere è raggiante. Pensa di aver segnato un punto a suo favore. E inizia a chiamare i suoi dirigenti. “Ho parlato con Zingaretti – racconta – è una brava persona. Simpatico, gentile. Funziona bene anche in tv”.

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