TOKYO – I dieci minuti che hanno cambiato la storia dell’atletica italiana. Incredibili, inimmaginabili, da far tremare mani e gambe a tutti. Tranne che a loro. Alle 21.42 Gianmarco Tamberi urla di gioia in pedana, è campione olimpico di salto in alto. Alle 21.52 Marcell Jacobs corre più forte di tutti e arriva primo al traguardo, unico italiano nella storia a prendersi la gara regina dei Giochi Olimpici, dopo essere stato il primo a qualificarsi per la finale.
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Dieci minuti che hanno ribaltato la percezione di cos’è un’Olimpiade, troppo bella da vivere, troppo complicata da spiegare per chi finora aveva pochi punti di riferimento – Livio Berruti e Pietro Mennea, entrambi sui 200 però – e magari neanche era nato. Dieci minuti tra il prima e il dopo dell’atletica italiana, perché niente da oggi sarà più lo stesso.
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Il ‘super Sunday’ azzurro inizia alle 19.10. In pedana c’è Gimbo che inizia la sua rincorsa verso il tetto del mondo. Alle 19.31 parecchi metri più in là – di poco oltre i 100, ‘quei’ 100 – Marcell si piazza sul blocchetto della sua semifinale. Si va. I primi salti di Tamberi sono in scioltezza, tra lui e l’asticella c’è un margine che è una passeggiata. Per lui a saltare, per noi a vederlo. Jacobs scatta in ritardo, viene su fino a prendersi un tempo stratosferico, 9″84, nuovo record europeo, primo italiano della storia a entrare in una finale. Ce n’è già abbastanza così per riempire il cuore di emozione. Nessuno immagina come andrà a finire. Chissà Jacobs.
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In pedana c’è Gimbo che salta più regolare che mai, ogni misura al primo tentativo. Si sale sempre più su. Compare sulla scena il gesso con scritto ‘Road to Tokyo 2020’ poi ‘2021’, Gianmarco se lo piazza lì, feticcio di un cerchio che sta per chiudersi nel bene o nel male. Alla fine restano in tre sul 2,37: Barshim e Tamberi al comando, poi il bielorusso Nedasekau.
Più su, ai 2,39 del record italiano, quelli della serata di Montecarlo 2016, quando l’infortunio alla caviglia toglie Rio dalla strada di Gianmarco che stava lottando sui per i 2,41. Tre tentativi, tre errori. Il giudice si avvicina ai due, chiede: “Conoscete il regolamento, vero?”. È un attimo. I due amici Barshim e Tamberi, primi a pari merito, scelgono di fermarsi e si abbracciano. E Gimbo parte… Urla, salta, prova a strapparsi la canottiera, si getta a terra e piange.
Pochi minuti di festa che sembrano infiniti ma non c’è tempo di fare altro. Si spengono le luci prima che si accenda Jacobs. Nel buio e nel silenzio dello stadio Olimpico con il fiato sospeso si sente un urlo: “Vai Marcell!”. È Gianmarco, pazzo com’è, a dare l’ultima scarica di adrenalina. C’è lo start. Lo stacco dai blocchi, meno di dieci secondi di accelerazione pazzesca e sulla pista c’è la storia. In Italia mai nessuno come Jacobs, il mondo è suo ma l’unico che sembra crederci è proprio lui. Gonfia i muscoli, si batte la mano sul cuore, un attimo solo in ginocchio e poi si fa le foto vicino al tabellone con il suo nome, chiede il Tricolore e se lo avvolge sulle spalle. Solido e lucido lui, entusiasta e fuori di testa l’altro. Marcell se lo trova di fronte ad aspettarlo in un abbraccio azzurro per dire: “Ma che abbiamo fatto?”.