Autori contesi come cantanti neomeolodici e libri tollerati come un male necessario, fiumi di soldi spesi per assecondare i capricci dei big e librai che continuano a essere considerati l’ultima ruota del carro. Le rassegne culturali ormai fanno tendenza, nobilitano (e talvolta riabilitano) chi le organizza e chi le frequenta, sono il primo gradino verso la nuova scalata sociale. Ecco spiegato l’italico boom degli incontri in piazza, durante cui dei libri non frega niente a nessuno ma fanno impegno e consapevolezza (quella di essere rimasti degli ignoranti).

A certe rassegne letterarie si partecipa per fare società, per tentare nuove amicizie e per provare la tenuta stagna di quelle vecchie. Per fare tendenza, poiché al giorno d’oggi – specie dopo la prolungata clausura a cui ci ha costretti la pandemia – chi non frequenta almeno una rassegna culturale, molto meglio se letteraria, può dirsi fuori dal mondo, fuori dal tempo. Già perché, a certe insospettabili manifestazioni, si gettano le basi per le campagne elettorali ai tempi del Covid, provando dall’interno dei circoli e delle piccole comunità – come quelle dei lettori – a dirottare il consenso, a demolire le ragioni dell’avversario servendosi dei migliori corruttori in circolazione: i libri. Certe presentazioni sono diventate come certi concerti neomelodici, in cui il malessere che spinge a scrivere – sostanzialmente sempre le stesse cose – non può essere compreso se non attraverso una nenia trascinata all’infinito, facendo scattare a fine serata i fuochi d’artificio offerti dalla locale ditta di porte blindate. Lustrini e marchette hanno varcato l’ingresso del mondo dell’editoria, che fino a qualche anno fa era riuscito a tenerle alla larga dai bastioni. Ai libri penosi che popolano i cataloghi di quasi tutti i più grandi editori, si sono aggiunte queste fiere delle vanità – che prima erano a esclusivo appannaggio dei piccoli – in cui circola di tutto, dallo zucchero filato alle magliette dei comici. Di tutto, tranne il pensiero.

Il nuovo “Cencelli” della società

Insomma i libri sono tollerati come un male necessario, un’afflizione a cui non ci si può sottrarre perché il nuovo “Cencelli” della società passa per la presenza a serate del genere. Festival, rassegne brevi o lunghe, ospitate, mega seratone in piazza o desolate seratine in bottega, un’orgia inarrestabile in cui fiumi di soldi – anche pubblici – vengono spesi per assecondare soprattutto i capricci dei big: dall’autore che va in vacanza solo con l’amante, tre cani e l’addetto stampa a quello che per garantire la sua presenza negozia una settimana all inclusive dall’altra parte del mondo. Perché siamo arrivati a tanto? Come mai, da quando non interessavano a nessuno ed erano classificate come inutili assemblee di sfigati, le rassegne letterarie si sono trasformate in una febbre da cui non si guarisce? Chi le alimenta? La nostra sete di conoscenza e lettura (quando mai: l’Italia è ultima in Europa per libri pro-capite letti in un anno) o la morbosità di appartenere ai rumori del mondo? Perché abbiamo trasformato la scrittura in gossip? Chi si assumerà la responsabilità di pagare un prezzo altissimo all’imbarbarimento che, inevitabilmente, ne conseguirà? È davvero tutto oro quello che luccica, o le rassegne letterarie all’italiana nascondono un malessere borghese che ha a che fare con l’accettazione di noi stessi? Di tutto un po’. Nel senso che la percezione è che la rassegne nobilitino chi le organizza e nel contempo chi le frequenta, elevando onorabilità e reputazione di entrambi all’istante: coi libri non si scherza, a prescindere da cosa contengano – quindi anche cose inqualificabili, anzi a maggior ragione quelle – i libri scavano una corsia preferenziale che porta dritto alla credibilità. Un Telepass della cultura, che autorizza a giudicare – un po’ meno ma un po’ meglio – chi frequenta questi ambienti, chi appare in questi contesti. Insomma, chi c’è. Ecco spiegato il boom degli incontri in piazza, durante cui dei libri non frega niente a nessuno ma fanno così tanto impegno e così tanta consapevolezza: quella di essere rimasti degli ignoranti.

I Lettori veri sono altra cosa

Per fortuna i Lettori sono un’altra cosa. Vivono ormai la condizione dei rifugiati, dei diseredati ai quali nulla è dato sapere se non che il libro che stanno per leggere – o che hanno già letto – non interessa a nessuno. Ma proprio da questo si distingue un Lettore dal resto, dalla naturalezza con cui accetta di essere dimenticato e dalla disinvoltura con cui si sottrae a questi incontri in cui il vincitore è lo stesso (l’assessore di turno) e lo sconfitto porta la faccia di sempre (quella del libraio rimasto lì per due, al termine delle quali è riuscito a vendere tre copie). I Lettori veri seguono altre correnti, nuotando spesso in direzione contraria, sono protagonisti di altre dinamiche, rifuggono il più possibile dalla luce del giorno, piccoli insaziabili pipistrelli che col luccichio dei festival e delle notti tarantate non hanno niente a che fare.

La deriva dei festival e delle rassegne (di certi festival, di certe rassegne) è così evidente che si fa fatica a non scambiarle per feste di paese, in cui gli scrittori sono la porchetta col limone in bocca e gli ospiti sono autorizzati a infilarci uno spiedino dentro. E’ stato invertito l’ordine delle cose, incestuosamente forzata la leva che regolava il rapporto tra libri e autori. Oggi questi festival vengono organizzati per attrarre principalmente grandi autori, giacché la loro presenza genera audience, scambio di idee, quindi commercio, alimenta negozi e favorisce il passeggio, opinioni e quindi una certa vaghezza, insomma muove le acque dello stagno sociale. Il libro – in quanto tale, proposta di un percorso anche di sofferenza intellettuale e interiore – è uscito da questo ciclo di produttività, non interessano più la sua gestazione tantomeno il suo contenuto: é un accessorio, un optional come i vetri oscurati delle auto sportive, seduzione che non se inclusa nel prezzo può essere facilmente ottenuta grazie a una piccola integrazione. Può essere noleggiata, come si noleggiano un’auto, una bici, una casa al mare.

Ecco in cosa consiste la differenza tra parvenu e Lettori. Questi ultimi hanno deciso di scomparire, di ritirarsi dal delirio che sembra aver assalito il Paese, e sono rimasti a leggere in disparte, in solitudine, difendendo il diritto a sbagliare (libro) con la propria testa (e non con quella di un assessore).

Come tutti gli “italici abusi”, anche quest’orgia finirà

Come le mode, le infatuazioni e gli innamoramenti stagionali, questa depravazione verso certi festival letterari e l’irresistibile seduzione che suscitano, prima o poi finiranno. Verosimilmente quando finiranno i soldi, mostrando che l’unica ragione che li teneva in vita non era la difesa della letteratura ma il tentativo di fare turismo intorno ad essa. Perché? Che male c’è, si potrebbe eccepire? Nessuno. A patto che i libri, e tutta la filiera, usufruiscano allora degli stessi sgravi fiscali dei bed&breakfast; che tutta la filiera venga trattata come un movimento necessario al benessere della società, non come un disturbo (le librerie sono state le prime a chiudere durante i lock down del 2020 e 2021, le ultime a riaprire: conoscendo la loro pericolosità sociale, si è trattato di una scelta precauzionale per la salute degli italiani); infine che tutto il sistema editoriale italiano possa contare sui benefici che normalmente si riconoscono agli operatori turistici (basta riflettere sul fatto che, anche tra i grandi editori, molti autori non proprio famosi sono costretti a pagare in proprio spese di viaggio e trasferta per le presentazioni dei libri: come se un cantante pagasse per cantare a un suo concerto). Quest’orgia finirà, ne siamo certi. E rimarranno le orme della grande festa, a cui sono stati invitati tutti, ma proprio tutti, tranne i libri. Per fortuna.


Davide Grittani è nato a Foggia nel 1970, ha pubblicato il reportage C’era un Paese che invidiavano tutti (Transeuropa 2011, introduzioni di Ettore Mo e Dacia Maraini) e i romanzi Rondò (Transeuropa 1998, postfazione di Giampaolo Rugarli), E invece io (Robin 2016, presentato al Premio Strega 2017), La rampicante (LiberAria 2018, presentato al Premio Strega 2019, vincitore nello stesso anno delle edizioni dei premi Città di Cattolica, Zingarelli, Nabokov, Giovane Holden e inserito tra i migliori libri del 2018 dall’inserto La Lettura del Corriere della Sera). Dal 2006 al 2016 ha curato la mostra itinerante della letteratura italiana tradotta in altre lingue, Written in Italy, esposta in 21 Paesi di 5 Continenti. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno, collabora con L’intellettuale dissidente e Pangea. Il 2 settembre prossimo uscirà il suo nuovo romanzo La bambina dagli occhi d’oliva (Arkadia Editore), liberamente ispirato all’infanzia di Dolores O’Riordan dei Cramberries.