Sull’autorizzazione di Bankitalia a Mps per Antonveneta è bene fare chiarezza.

 

COMMENTI & ANALISI
La informazione preventiva alla Vigilanza alla quale fino all’agosto del 2006 erano tenute le banche che avessero progettato aggregazioni o comunque l’assunzione di quote rilevanti del capitale di un altro intermediario è ritornata di attualità perché ricordata nella relazione introduttiva dell’audizione di Carmelo Barbagallo, capo del Dipartimento Vigilanza della Banca d’Italia, presso la Commissione parlamentare di inchiesta che ora sta esaminando il caso Montepaschi. Un lettore ha chiesto un ulteriore approfondimento che, data la rilevanza della regolamentazione, merita di essere compiuto. La preventività in questione era disciplinata da disposizioni del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio che sancivano l’obbligo della comunicazione almeno sette giorni prima della convocazione dell’organo deliberativo che avrebbe deciso l’operazione. Naturalmente, erano pur sempre ipotizzabili i casi di urgenza. La ratio di siffatto obbligo stava nel volere evitare che una delibera di acquisizione, della quale si sarebbe comunque saputo all’esterno, nel mercato, determinasse movimenti e orientamenti, nonché aspettative, che, poi, potevano essere drasticamente invertiti qualora la Banca d’Italia avesse verificato l’inaccoglibilità dell’istanza di autorizzazione. La valutazione della Vigilanza riguardava una valutazione di larga massima sulla procedibilità dell’operazione, ferma restando la libertà delle determinazioni dell’intermediario. Tale procedura era rimasta in vigore da lungo tempo e aveva ben funzionato in occasione di numerosissime acquisizioni e concentrazioni, in specie quelle che caratterizzarono la grande riorganizzazione bancaria degli anni Novanta del secolo scorso. In occasione dei progetti di Opa per acquisizioni messi a punto sul finire proprio dei Novanta dal Credito italiano sulla Comit e del S.Paolo su Banca di Roma, il rilievo principale che la Vigilanza mosse non fu tanto la non osservanza delle disposizioni sulla comunicazione anzidetta, che pure fu rilevata, quanto la rappresentazione delle Offerte come consensuali, quando, all’opposto, le banche-bersaglio dichiaravano che si trattava di Opa ostili. In relazione a ciò, la Banca invitò i due istituti offerenti a tornare a deliberare come ostili Opa che erano state prima decise come consensuali.; la Vigilanza avrebbe, poi, prontamente valutato tali delibere, che, invece, non vennero più assunte. Gli intenti delle acquisizioni furono abbandonati, evidentemente perché il mutamento della qualifica avrebbe comportato problemi nella formazione della volontà da parte dell’organo deliberativo e, certamente, oneri maggiori per le eventuali acquisizioni. Considerare la informativa preventiva come uno strumento di una Vigilanza dirigistica era una vera e propria forzatura, magari presentata come tale da chi dalle eventuali oscillazioni dei titoli sul mercato per progetti di aggregazione prima lanciati pubblicamente da uno o più istituti e poi dismessi pensava di trarre profitto. La trasparenza e oggettività di una tale procedura informativa costituivano una garanzia per tutti, essendo ben chiaro che anche la preventiva valutazione di massima della Vigilanza avrebbe dovuto essere basata su chiare motivazioni. Nel primo semestre del 2006, dominando una voglia – «a prescindere», avrebbe detto Totò – di dimostrare di fare il contrario di quel che avevano fatto i predecessori (l’obbligo di comunicazione era vigente non solo nel governatorato Fazio, ma anche in quello Ciampi), la previsione normativa sulla comunicazione stessa fu abrogata e si stabilì che la richiesta di autorizzazione formale doveva essere trasmessa alla Vigilanza dopo le relative decisioni degli organi aziendali competenti. Un noto economista, con sprezzo del ridicolo, scrisse un’articolessa su di un importante quotidiano per definire l’abrogazione anzidetta alla stregua di una riforma costituzionale. Dominavano il fariseismo e un vallo profondo tra quel che si diceva e quel che si faceva. In questi casi, i danni si contano a distanza di tempo, non nell’immediato quando dominano gli osanna. Ora, mi piacerebbe sapere se esista una sola persona così ingenua che possa ritenere che, per esempio, nel caso Montepaschi la Banca d’Italia e, in specie, i vertici di allora – che non sono quelli di oggi – o il singolo alto dirigente competente abbiano saputo dell’intento del Monte di acquistare il Santander solo dopo la delibera del consiglio di amministrazione dell’8 novembre del 2007. Del resto, la cautela rinvenibile nella stessa nota apposta in calce alla relazione Barbagallo nella quale si precisa quando la istanza di autorizzazione deve essere trasmessa a Bankitalia – dovendosi ritenere impregiudicato ogni altro comportamento – potrebbe dissuadere l’ingenuo credente. Ma se fosse come il non ingenuo ben suppone, le conseguenze non sarebbero solo nominalistiche e la boutade della riforma costituzionale acquisterebbe proporzioni enormi.
MF.
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