Sport e politica tempesta perfetta

di Francesco Saverio Intorcia
Osservando la tempesta scatenata da Juventus-Napoli, l’errore più grave che si può commettere è quello di liquidare la vicenda come una semplice partita di calcio, un insignificante puntino in fondo a un buco nero nell’universo delle priorità che le istituzioni devono affrontare nella gestione della pandemia. C’è in ballo invece la credibilità di due sistemi, lo sport e la politica. E torna alla luce, evidente, il conflitto fra governo e Regioni che in questi mesi di emergenza ha spiegato i suoi effetti su ogni aspetto della vita quotidiana.
Quando il calcio italiano è ripartito, a giugno, non l’ha fatto per capriccio ma semplicemente per salvare se stesso: un’industria da 3,8 miliardi di fatturato, che conta 1,3 milioni di tesserati, ma che perde quasi 400 milioni a stagione ed è incatenata alla vendita dei diritti tv. Il mondo dei dilettanti non ha ripreso le attività dopo il lockdown, le tre divisioni professionistiche lo hanno fatto in base alle proprie possibilità, e a proprie spese. La Serie A, come i principali campionati europei ad eccezione della Francia, per ripartire ha stilato un protocollo, stilato dai medici sportivi e validato dal Cts, che ha garantito un regime speciale ai calciatori, quello della cosiddetta quarantena soft: in caso di positività di uno o più elementi del gruppo squadra, consente agli altri di continuare ad allenarsi e di giocare. Questa è la chiave che ha permesso di riprendere e terminare il campionato passato e anche di iniziare quello in corso. Applicando le regole generali, d’altronde, non si potrebbe mai giocare. Il distanziamento predicato nei luoghi di lavoro non è praticabile in area di rigore se non da difese particolarmente distratte, né si può immaginare di battere un rigore in smart working.
Club e calciatori insomma accettano quotidianamente un rischio, naturale per uno sport di contatto, e solo mitigato dalla frequenza con cui si sottopongono ai tamponi, allentata dalle ultime e intempestive modifiche al protocollo: erano obbligatori ogni quattro giorni, ora ne basta uno a 48 ore dalla partita. In aggiunta, la Lega di A si è adeguata alle regole europee in caso di focolai in una squadra: si può chiedere un rinvio solo con 10 positivi e per una volta sola. Il jolly.
Fin qui, il sistema speciale ha retto. Da giugno ad agosto non ci sono stati positivi a campionato aperto, mentre la curva dei contagi nel Paese era sotto controllo. Ma anche nelle prime settimane del nuovo torneo i club colpiti dal virus hanno applicato scrupolosamente il protocollo, riducendo il numero di contagiati e accettando di giocare senza uomini illustri: il Milan, capolista in campionato e promosso ai gruppi di Europa League, ad esempio sta rinunciando a Ibrahimovic.
In una sola settimana tuttavia questo equilibrio sottile si è frantumato. Quanto accaduto al Genoa, prima, e al Napoli, di conseguenza, ha incrinato l’intero protocollo, la fiducia reciproca delle squadre e anche la chiarezza nelle competenze e nella divisione dei poteri decisionali. I tamponi effettuati dal Genoa nel giorno della partita non hanno evitato che scendessero in campo giocatori poi risultati positivi poche ore dopo, né il contagio di due avversari. Tra i club è venuta meno l’armonia dettata dalla necessità di sopravvivere tutti insieme: sono tornati sospetti e accuse neanche poi tanto velate sull’applicazione scrupolosa delle norme.E, infine, sono scese in campo le Asl (in Campania, ma anche in Basilicata, dove è stato fermato il Potenza, in Serie C), che hanno disattivato e privato di efficacia un meccanismo concordato fra governo e Federcalcio e fin qui dimostratosi efficace, pur con tutti i rischi e i dubbi del caso.
Il Cts ieri ha ribadito la competenza delle autorità locali in materia sanitaria. Ma questo pone ora un problema enorme sul prosieguo della stagione: finora altre aziende sanitarie locali non avevano disattivato il protocollo del calcio, adesso si prospetta il rischio di un campionato-roulette.
Venuta meno la certezza di un modello unico nazionale, si potranno applicare misure differenti di regione in regione, senza la certezza di concludere un torneo che al momento non ha finestre utili per concedersi il rinvio delle gare. Ma questa vicenda sportiva non fa altro che riflettere l’assenza nel governo di una visione d’insieme e di lungo cabotaggio nella gestione dell’emergenza. Un film già visto, solo amplificato dal clamore della partita fantasma di ieri.
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