Senso della natura e storia, nel farsi del paesaggio

La vocazione problematizzante che da sempre il paesaggio rileva nella ricerca storiografica assume in questi anni recenti un respiro più ampio nel continuo interpolarsi del tema con discipline come l’antropologia e le scienze sociali, quelle della vita, l’archeologia e l’architettura, appunto, del paesaggio, e quante altre vanno assumendo proprio quest’ultimo come termine medio dialettico del confluire di intenzionalità progettuali in divenire economico, proiezioni ideali e coevoluzione del vivente nel moltiplicarsi di soggettività via via riconosciute attorno a quest’ambito.
È con questa plurale sensibilità di sguardi che si muove nel suo Viaggio nei paesaggi storici italiani lo studioso del Medioevo e del Rinascimento Arnold Esch, a lungo direttore dell’Istituto storico germanico di Roma, nonché con la dimestichezza che gli viene dalle lunghe frequentazioni dei suoi tanti, classici temi d’indagine, dove – sempre sotteso – il paesaggio permane come chiave d’accesso (LEG edizioni, trad. di Flavia Paoli, pp. 321, € 22,00).
Prediligendo magari località remote e sguardi inusuali, la campionatura per argomenti, metodologie ed episodi procede interrogando sapientemente resoconti di viaggio, diari, dipinti, letture stratigrafiche ma anche indicazioni rintracciate nelle filze delle fonti archivistiche, come gli atti di proprietà medievali dove le rovine romane si rivelano sovente marcatori evidenti nel disegno di confini contesi.
Così, il suggerimento a evitare letture di un primo Medioevo come paesaggio prevalente di antiche rovine, in una inerziale proiezione del passato che perdura, o la puntuale sottolineatura del mutare degli sguardi (e dei mezzi di trasporto) tra l’Italia del Grand Tour del XVII e del XVIII secolo e quella conosciuta dai viaggiatori del XIX, e in particolare da Ferdinand Gregorovius, vanno insieme a riflessioni sull’uso frequente nel genere dei resoconti di viaggio del tardo Medioevo di rendere l’immagine di paesaggi stranieri e sconosciuti attraverso il confronto con una realtà familiare.
A tratti l’indagine assume l’andamento di una guida passo passo, chiesa dopo chiesa nel capitolo dedicato a quelle rurali dell’Umbria del primo Medioevo, dove il loro dislocarsi nel tempo, rileva della relazione tra dinamiche locali e orizzonti di maggior respiro.
Ma sempre, in controluce, si legge l’inquadramento per grandi temi. Il lungo processo del medievale farsi paesaggio della città di Roma viene ripercorso collocandolo in un contesto dove tutto si regionalizza, con gli approvvigionamenti ridotti a scambi a corto raggio, così come l’orizzonte delle consolari. All’interno delle antiche mura, ormai troppo ampie per quanto la città si era andata spopolando, estesi spazi vuoti si trasformano in pascoli o vigneti, mentre gli insediamenti si ridispongono verso i nuovi fulcri della vita religiosa e pubblica. Attorno a San Pietro si raccoglie Borgo e la popolazione gradualmente si ritira nell’ansa del Tevere. Anche l’area dei fori assume l’aspetto di un paesaggio di orti e viti, tra le torri medievali e le rovine che saranno a lungo ricoperte da una flora, peraltro fatta oggetto in passato di studi accurati.
Nell’indagine della vicenda di Venezia prima di Venezia il ruolo giocato dalle caratteristiche naturali e storiche del paesaggio lagunare nel lungo processo della sua colonizzazione si afferma in parallelo alla consapevolezza della necessità di mantenersi in equilibrio con un territorio che costantemente viene rimodellato da fiumi, maree e mareggiate e che costringe anche gli uomini a una vita anfibia, in insediamenti in tutto differenti da quelli che avevano caratterizzato le città murate, con strade lastricate e disponibilità di acqua potabile. Addestrandoli, con il continuo lavorio di regolare corsi d’acqua e consolidare fondali e fondamenta in quel mondo d’isole dove scorre il futuro Canal Grande, a un impegno sempre rinnovato in un’azione solidale.
Con esiti testimoniali del tutto differenti, ad esempio dal caso del fermo fotogramma di Pompei, fissato al momento dell’eruzione, l’invito è a seguire poi la vicenda del lento processo di decadimento del paesaggio di Ostia fino a quando anche gli ultimi abitanti abbandoneranno l’area urbana ormai deserta e ridotta a un territorio di saline, per ritirarsi nel più sicuro insediamento medievale fortificato di Gregoriopolis, mentre la natura prenderà per secoli il sopravvento dando vita a un paesaggio di rovine.
Da allora Ostia verrà a lungo ignorata dalle cronache, finché, con l’Umanesimo, proprio le sue rovine meriteranno, come tali, nuova attenzione. Visitate nel 1427 da Poggio Bracciolini e Cosimo de’ Medici e, meno di cinquanta anni dopo, da papa Pio II.
E proprio le puntuali e ricche descrizioni del paesaggio e delle genti che lo compongono, frequenti negli autobiografici Commentarii di Enea Silvio Piccolomini, testimoniano per Esch di un’esperienza del paesaggio e di un senso della natura per tanti versi inediti. E che – fatta pure la tara di letterarie repliche umanistiche di moduli classici – lasciano antivedere già in questo primo Rinascimento un’attenzione per lo spazio naturale e una sensibilità specifici che in generale vengono attribuiti a epoche più tarde.
Così, con le vedute descritte in parola – non ultime quelle ammirate dalla finestra da Pio II – sempre più spesso il paesaggio «autentico» viene inseguito anche in pittura. Negli sfondi, nelle architetture, nella pittura di paesaggio, ma anche, dai primi anni del XVI secolo, nelle immagini a volo d’uccello utilizzate come prove visive nella cartografia «forense».
O, fin nel gioco erudito in cui si spinge il nostro autore di identificare – quando non correggere, integrando e risalendo alle componenti di paesaggi ideali in forma mista – titolazioni e attribuzioni dei siti del Lazio che a cavallo tra Sette e Ottocento una generazione di pittori stranieri che si avvia a restituire un’idea nuova di natura ritrae, ritrae oltre gli stilemi della tradizionale pittura di vedute.
Che si avventuri insomma, al seguito delle strade storiche nell’alta valle del Tevere oppure sulla via Francigena da Lucca all’Arno, per via di arresti, sovrapposizioni e riutilizzi, o risalendo i «paesaggi con acquedotti» tra Tivoli e Palestrina o ancora evidenziando le tracce di segni, saperi, manufatti, dalla pista della transumanza in Molise al palcoscenico cinto da mura del paesaggio di Siracusa, Arnold Esch percorre qui palmo a palmo il territorio italiano con una molteplicità di approcci che, dal proscenio alle pieghe, ne setaccia la varietà dei paesaggi. Sempre tenendo insieme le questioni di grande respiro e i dettagli in cui, nella rinnovata attenzione dell’oggi, si inverano e fanno corpo. Innesco e testimonianza di processi, soggetto e oggetto di indagine storiografica.

 

 

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