Se la Chiesa si prepara alle larghe intese.

 

Per la prima volta dalle indimenticabili elezioni del 1948 il Vaticano, i vescovi e i parroci italiani si avvicinano al prossimo appuntamento elettorale con un atteggiamento capovolto rispetto al passato. Per la prima volta nella storia della Repubblica rinunceranno a sostenere una parte politica contro l’altra. Stavolta la Chiesa non parteggia per nessuna delle forze in campo, non delega a nessun leader e a nessun partito la difesa dei propri valori. Semmai critica le forze politiche. Le incalza. La «grande ritirata» della Chiesa italiana dalla mischia strettamente partitica è iniziata con il pontificato di Francesco, ma l’ultima volta che il Papa ha incontrato i vescovi è stato più esplicito del solito: «A me la politica italiana non interessa, interessatevene voi: il meno possibile…». Ora l’intervista a questo giornale del presidente della Cei conferma quell’indirizzo. Critiche velate e diffuse a tutte le forze politiche, con una punta di preoccupazione in più per il populismo leghista. Il tutto attraversato però da un messaggio chiaro di equidistanza («i cattolici restino con autonomia di giudizio»), che finisce per depositare nel credente «medio» un messaggio: là dove si «difende la vita» e si «curano i poveri», votate come meglio credete. Una rivoluzione nella tradizione italiana, che per 70 anni è stata fatta di ingerenze insistenti, talora molto intime. Fino a quando c’è stata la Dc, per la Chiesa è stato semplice: si delegava tutto al partito cattolico e la mediazione si scaricava lì, nel partitoStato. Poi la Dc si è spenta e col bipolarismo si è raddoppiato anche il collateralismo: a seconda delle maggioranze, il sostegno della Chiesa andava agli amici di una parte o dell’altra. A Berlusconi e Letta. Oppure a Rutelli e Binetti. Poi, cinque anni fa – due settimane dopo le elezioni politiche del 2013 – è arrivato Francesco e tutto è cambiato. Nel suo Paese il cardinal Bergoglio si era misurato per anni col peronismo, potere fortissimo e grande spugna di culture politiche popolari, compresa quella cattolica. Lì la Dc non è mai esistita e la Chiesa era diventata una sorta di «contro-potere». È in quella temperie che ha preso corpo l’idea veramente nuova di Francesco nel suo rapporto col potere temporale: è il Papa, è la Chiesa che fanno politica in prima persona, senza delegarla a partiti o partitini cattolici. Come ha detto una volta Francesco alla Comunità di vita cristiana: «Un partito di cattolici? Quella non è la strada». Un atteggiamento che sta già determinando una sorta di «tana libera tutti» per i tanti movimenti che solcano l’universo cattolico. Dopo anni di movimentismo talora bipartisan, i vivacissimi movimenti ecclesiali – da Cl alla Comunità di Sant’Egidio – stanno tornando alle origini, ricollocandosi nelle tante trincee scavate dal sistema proporzionale. Nei giorni scorsi uno dei politici più vicini a Cl, Maurizio Lupi, dopo cinque anni trascorsi da ministro e da capogruppo dei governi a guida Pd, è tornato (assieme a Roberto Formigoni) nel centro-destra il che consente a Cl di ritrovare entrambi i suoi beniamini sotto le stesse insegne. Dall’altra parte dello schieramento la Comunità di Sant’Egidio, dopo aver appoggiato nel 2013 la lista Monti, si è progressivamente avvicinata al Pd: Mario Giro (da anni «ministro degli Esteri» della Comunità), ha ottenuto da Gentiloni un incarico «strategico» nell’ottica di Sant’Egidio: viceministro con delega alla Cooperazione Internazionale. Il Vaticano e la Cei non prendono parte, ma per il futuro hanno una preferenza. Lo fanno capire il cardinale Bassetti, ma anche padre Occhetta, notista politico di «Civiltà cattolica», la rivista dei Gesuiti, dunque la più vicina a papa Francesco: se nessuna coalizione dovesse ottenere la maggioranza, «potrebbe nascere un governo istituzionale Gentiloni-bis, che ha fatto bene, gode di un alto consenso sociale e non dispiace all’area moderata di centrodestra». Come dire: la «benedizione» alle Grandi intese è già pronta.
La Stampa.
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