Sant’Anna di Pisa tra le più attrattive.

IL DIBATTITO SULL’UNIVERSITÀ. LA CLASSIFICA DELLE TOP 50 FONDATE DA NON PIÙ DI 50 ANNI.
Sono nate pochi anni fa. Ma hanno già scalato i ranking internazionali e attirano studenti da tutto il mondo, come i college più blasonati di Regno Unito e Stati Uniti. Qs, il portale che realizza l’omonima classifica degli atenei, ha pubblicato da poco la sua «Top 50 Under 50»: una graduatoria delle migliori università fondate meno di 50 anni fa, secondo criteri già adottati in altre rilevazioni come totale di citazioni in articoli scientifici, percentuale di iscritti stranieri o quota di docenti internazionali. In vetta spiccano soprattutto poli asiatici, come la Nanyang Technological University di Singapore e la Hong Kong University of Science and Technology. Ma all’undicesimo posto compare un’italiana: la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il collegio d’eccellenza nato negli anni 80 come divisione della Normalee specializzato nelle cosiddette discipline applicate, da ingegneria a giurisprudenza. Il Qs ha premiato il livello «molto alto» di ricerca, oltre al buon grado di internazionalità (il 30% dei dottorandi arriva dall’estero) e la combinazione tra un’offerta di corsi interni o svolti insieme all’Università di Pisa. Sulla valutazione incide anche il rapporto con i datori di lavoro, ricompreso dall’analisi di Qs nella cosiddetta employer reputation: la reputazione tra le aziende, fattore che si traduce in maggiori tassi di assunzione tra gli ex allievi di un certo ateneo. Pierdomenico Perata, rettore del Sant’Anna,è consapevole del valore assunto dai rapporti università­aziende nelle valutazioni dei grandi ranking internazionali. L’Ecole francese CentraleSupélec, all’ottavo posto nella top 10 degli atenei più giovani, è nata solo nel 2015 ma ha già fatto in tempoa raggiungere le prime 100 posizioni globali nei ranking Qs per la considerazione dei datori di lavoro. Lo stesso Sant’Anna ha intessuto un network di partnership e collaborazioni che favorisce l’ingresso diretto dei suoi allievi in contesti lavorativi italiani e internazionali. Un valore aggiunto che può essere reclamato da pochi istituti. «Se un ateneo ha rapporti con le imprese- spiega Perata – fa sì che i suoi allievi siano assunti più facilmente. Bisognerebbe creare un “circolo virtuoso” per superare gli scollamenti che resistono tra il mondo dell’università e quello dell’impresa». Il rapporto sfocia anche in una visione sinergica della ricerca, nel rispetto dei confini naturali tra accademia e aziende: «Serve – prosegue Perata – un linguaggio comune. Si può fare ricerca comune, ovviamente capendo gli interessi reciproci». In questo senso, la specializzazione didattica gioca un ruolo incisivo. Con qualche eccezione, gli atenei valutati da Qs si concentrano su settori specifici, privilegiando la qualità dei corsi alla quantità dell’offerta generale. La scelta è strategica e risponde, anche, a un’esigenza di mercato: «Gli atenei generalisti ­ spiega Perata ­ sono l’ideale, sulla carta. Ma il modello rischia di non essere più sostenibile. Meglio fare scelte più mirate». Gli allievi del Sant’Anna si formano anche in discipline con grande richiesta lavorativa, a partire da ingegneria. Perata non pensa, però, che esistano lauree più o meno professionalizzanti: «Tutte le lauree professionalizzano, nel senso di dare un lavoro. Il problemaè scegliere quelle che abbiano richiesta in questo periodo» osserva. Se avessimo più ingegneri e più laureati Stem ( science, technology, engineering and mathematics, ndr) la disoccupazione sarebbe meno grave». Il rischio, aggiunge Perata, è di considerare le università come dei «fornitori di nozioni» e non degli istituti per la crescita umana e professionale. Dando magari visibilità a «corsi bizzarri» che attraggono più per il marketing che per la sostanza accademica: «Gli strumenti – dice – ci sono già nei corsi di laurea esistenti, da matematica e fisica alle discipline umanistiche. Se l’università fornisce delle buone basi, forma dei bravi professionisti, capaci di adattarsi ai cambiamenti sempre più frequenti nel mercato del lavoro. E oggi è quello che serve di più».
Il Sole 24 Ore –