SALVINI E DI MAIO SHAKESPEARE AVEVA GIÀ PREVISTO TUTTO.

 

L’editoriale
Negli ultimi giorni l’alleanza Salvini-Di Maio ha visto un maggiore spazio di governo e alcune importanti occasioni di ampliarlo ulteriormente. Era, per esempio, libera la guida della Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e la competenza di indicarne l’amministratore delegato spettava ovviamente al ministro dell’Economia, Giovanni Tria.
Così si è proceduto, la persona indicata, Fabrizio Palermo, è valida e ha avuto anche il “generoso” appoggio di Matteo Salvini, il quale ha tutto l’interesse al rafforzamento delle alleanze che sono comunque da lui guidate (questo spera lui e questo è abbastanza corrispondente alla realtà).
C’era un’altra nomina importante alla quale procedere e riguardava il Tesoro. Il ministro Tria, competente nella materia e del tutto indipendente da appoggi politici, ha proceduto alla nomina del direttore del Tesoro. La cosa non è affatto piaciuta né a Di Maio né tantomeno a Salvini, i quali hanno anche fatto circolare la voce che Tria fosse sostenuto da Mario Draghi. È una voce del tutto inaccettabile. I segue dalla prima pagina Tria, del resto, non poteva essere bloccato poiché esercitava un potere che gli spetta direttamente; e, quindi, questo è avvenuto. Comunque l’alleanza Salvini-Di Maio regge bene. Giuseppe Conte, a sua volta, fa di tutto per mantenere i rapporti tra il governo e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Conte è ancora un semplice portavoce e non più di questo, tuttavia spera di essere un portavoce inamovibile ed eventualmente con alcuni poteri più importanti di quelli attuali. Non dà noia, ma qualche aiuto e, quindi, una qualche riconoscenza comincia a meritarla.
Nei giorni scorsi c’erano state altre situazioni abbastanza critiche per i vicepresidenti del Consiglio. Salvini ha querelato Roberto Saviano.
Quanto a Luigi Di Maio, c’è stato un pubblico scontro con Tito Boeri, presidente dell’Inps che ha ancora un anno prima della scadenza dalla sua carica. Boeri sostiene una serie di provvedimenti sui quali Di Maio non concorda, ma la natura di quei provvedimenti è tale che Boeri non può essere bloccato e tantomeno allontanato anticipatamente dalla carica che ricopre.
Queste vicende, d’altra parte, non hanno affatto indebolito l’alleanza tra Salvini e Di Maio, anzi l’hanno in qualche modo rafforzata. Salvini è arrivato a un abbondante 28-30 per cento di voti direttamente alla Lega in tutt’Italia, ai quali si aggiunge un altro 9-10 per cento da Forza Italia di Berlusconi e un 4 circa dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Tutti insieme arrivano intorno al 45 per cento e, sommando anche i 5 Stelle, il totale è praticamente il 70. Un blocco di forze sia pure molto variegate tra loro, ma sostanzialmente unite dall’esercizio del potere che deriva dalla loro posizione. Il restante 30 per cento è per circa il 20 del Partito democratico e per il resto di astensioni o schede bianche. È molto probabile, d’altra parte, che l’astensionismo effettivo non si limiti affatto al 10 per cento, ma vada anche più in alto.
Naturalmente la presenza dell’alleanza Salvini-Di Maio si esercita non soltanto in Italia, ma anche in Europa. In modi peraltro nettamente diversi. Salvini è di fatto un razzista e un avversario dichiarato dell’immigrazione, quali che ne siano le provenienze e le condizioni. Di Maio invece è un populista e il populismo sta anch’esso dilagando nell’Europa attuale. La presenza di queste forze, che del resto esistono non soltanto in Italia ma in molte nazioni europee, è un ostacolo a che l’Europa diventi federale e quindi possa partecipare alla società globale che ormai dilaga in tutto il mondo.
In una società globale i continenti sono i veri soggetti politici e, quindi, tra questi ci sono la Russia, la Cina, l’Oceania. Ovviamente anche gli Stati Uniti d’America hanno questa forza globale, ma la spendono in modo molto variegato e frequentemente mutabile, ragion per cui la loro forza nella società globale è relativamente minore di quella degli altri. Ci sono poi delle situazioni in corso di evoluzione, di cui si vedrà tra qualche anno la reale portata: un impero africano che abbraccia l’Africa centrale da Est a Ovest, un impero sudamericano e, infine, un impero arabo, che peraltro non ha ancora superato le varie distinzioni religiose e politiche.
L’Europa non c’è. In gran parte questo si deve alla storia del nostro continente, che per alcuni secoli fu dilaniato da rivalità e guerre interne e quindi da sovranismo non soltanto nazionale ma feudale. Le stesse conquiste che l’Europa fece nel resto del mondo non furono mai di stampo europeo, ma di stampo nazionale: così furono quelle della Spagna, del Portogallo, dell’Inghilterra, della Francia, della Germania. Questo fu il colonialismo in grande stile che ha caratterizzato il nazionalismo europeo e che rappresenta, quindi, la difficoltà non solo dovuta a cause presenti, ma stampata nella storia del nostro continente, incapace di comportarsi come tale e di poter competere in modo effettivo con gli altri attori del globalismo mondiale.
La scorsa settimana io scrissi un articolo che aveva come titolo, Nuova sinistra: democrazia, Europa, libertà e uguaglianza. L’intento era di dare a quel che resta del Partito democratico una motivazione che ricordasse lo slogan dei fratelli Rosselli e il contenuto del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.
Quest’idea di un’Europa a contenuto federale non solo era comparsa in questi slogan, ma anche nella realtà, a cominciare dalla creazione della Comunità del carbone e dell’acciaio, alla quale parteciparono le principali potenze europee. Seguì poi il Trattato di Roma, che indicò la nascita della Comunità economica, la quale si sarebbe dovuta evolvere in Unione anche politica. Infine, ci fu il tentativo di una vera e propria Costituzione federale, portata avanti da un comitato presieduto dal francese Valery Giscard d’Estaing e, come vice, anche dal nostro Giuliano Amato. Nacque la Costituzione di un’Europa federale, la quale fu approvata dai principali Stati europei, ma non da tutti. In particolare, non da quello francese e da quello olandese, i quali chiesero un referendum in materia. I referendum furono effettuati e dettero ragione a chi li aveva proposti, cioè respinsero la Costituzione federale. I principi di quella furono relegati nel Trattato di Lisbona, il quale enuncia principi semi-federalistici, ma di fatto privi di attuazione concreta. Il federalismo europeo è quindi affidato alle maggiori potenze del nostro continente, ma sono ben poche quelle disposte ad attuarlo pienamente. Anzi, a guardar bene, non ce n’è nessuna, salvo la Francia di Emmanuel Macron e del suo partito La République En Marche. Il motivo di questa tendenziale idea federalista è coltivato da Macron per una questione molto evidente: è il solo presidente d’uno Stato europeo con poteri governativi simili a quelli del presidente degli Stati Uniti d’America. In un’Europa federale, allo stato dei fatti, Macron sarebbe l’unico dotato di poteri presidenziali governativi. È evidente, tuttavia, che questa ipotesi di potenzialità automatica non sarebbe accettata dalle altre potenze europee, a cominciare dalla Germania.
Un’ipotesi di continente federato dovrebbe dunque prevedere di togliere a Macron i poteri attuali, che diventerebbero propri di un presidente eletto per un periodo di anni prestabilito dal popolo europeo.
Purtroppo siamo molto lontani da questa prospettiva e questo rafforza in Europa il sovranismo nazionale e anche la diffusione del populismo, che del resto è diventato ormai un fenomeno semi-mondiale.
Vedremo quello che accadrà nei prossimi anni, ma la realtà viene fabbricata giorno per giorno. Ce l’ha insegnato Shakespeare nelle sue rappresentazioni drammatiche e perfino nei suoi sonetti. La realtà si costruisce giorno per giorno e quasi attimo per attimo. Il capolavoro letterario è la notte passata dal re inglese Enrico V nel suo accampamento sulla costa francese prima della battaglia campale che gli dette la vittoria.
Durante la notte, mentre i soldati dormono nelle loro tende in attesa d’un mattino di battaglia, Enrico pensa e appunto si rende conto che il futuro viene costruito giorno per giorno e ora per ora; ciascuno costruisce il proprio e con il proprio affronta l’altrui, con l’intento non già di sopprimere gli altri ma di integrarsi con loro con la finalità del bene generale. Così ci lasciò scritto Shakespeare e mi sembra utile ricordarlo.
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